Dagli omicidi del 1992 tra Cutro e l’Emilia all’agguato al vecchio boss Totò Dragone del 10 maggio 2004, passando per quella stagione di morte a cavallo tra il 1999 e il 2000 costellata di omicidi nell’ambito della feroce guerra di mafia che lo vide vincente. La scalata criminale di Nicolino Grande Aracri a capo indiscusso della “provincia di ‘ndrangheta” è stata accompagnata da un scia di sangue lunga 22 anni con imputazioni di omicidio nei suoi confronti che hanno trovato in parte conferme processuali definitive o parziali. Il boss di Cutro che da almeno tre settimane avrebbe “saltato il fosso” stava infatti scontando nel carcere di Opera, una condanna all’ergastolo, diventata definitiva, per l’uccisione del boss rivale Totò Dragone, ammazzato da un commando armato anche di un bazooka (che non venne usato), un pomeriggio di maggio di 17 anni fa. Quel delitto rese “mani i gumma” (come è chiamato il boss ), il capo indiscusso della locale di Cutro e l’interlocutore privilegiato della cosche reggine e non solo. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria