Il primo lockdown ha salvato la Calabria dalla prima ondata di contagi da Covid-19. In particolare, a evitare il dramma che colse di sorpresa la Lombardia e soprattutto la città di Bergamo fu la stretta imposta dall’allora governatrice Jole Santelli che, come in Campania, dispose la quarantena per chi arrivava dalle zone rosse. A dimostrarlo uno studio condotto da 12 ricercatori che per la stragrande maggioranza sono riconducibili all’Università Magna Græcia del capoluogo di regione. La ricerca, alla quale hanno partecipato professori, dottorandi, assegnasti di ricerca e genetisti che operano a Catanzaro, ma anche ad Alessandria, a Roma e persino negli Stati Uniti, dimostra a suon di numeri e percentuali che un nesso c’è. In sostanza, quella appena portata a termine è una ricerca che ha fornito una base scientifica a una percezione diffusa. Sullo sfondo una pandemia che, a partire dal 21 febbraio 2020, in Italia iniziò a galoppare dal Nord. E lo studio, che ha preso le mosse da un’intuizione rispetto a quello che poteva essere stato l’impatto della stretta sull’epidemiologia del virus, non lascia dubbi: «Il Sud è stato colpito a seguito delle ondate migratorie». Il pool scientifico al quale ha preso parte anche il direttore del dipartimento di Scienze della salute dell’Università Magna Græcia, Francesco Luzza, - e più in generale composto anche da Ludovico Abenavoli, Pietro Cinaglia, Anna Caterina Procopio, Raffaele Serra, Isabella Aquila, Christian Zanza, Yaroslava Longhitano, Marco Artico, Tiziana Larussa, Luigi Boccuto e Pietrantonio Ricci - ha studiato le conseguenze del decreto con il quale l’allora presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, impose all’Italia intera un blocco totale teso a ridurre al minimo i contatti sociali puntando però molto sulla peculiarità calabrese di provare a stringere al massimo le maglie dei rientri. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria