«Per passare come persone perbene, ci dobbiamo fare ammazzare». È l’amaro commento di Marisa Garofalo, sorella di Lea, la testimone di giustizia uccisa a Milano nel 2009 dal suo ex compagno che risulta nullatenente. Marisa Garofalo potrebbe rischiare di perdere anche questo ulteriore risarcimento deliberato dal Tribunale civile di Milano, che, al termine di un separato giudizio civile, le ha riconosciuto 120 mila euro. Ma c’è il rischio che il Ministero dell’Interno possa confermare la decisione assunta già nel 2019, allorquando lo stesso ministero che gestisce il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di mafia si oppose al risarcimento di 50 mila euro della provvisionale decisa in sede penale ed ai 44 mila euro di spese di giudizio, a causa, venne detto, della «contiguità» di Marisa Garofalo con la «sua famiglia originaria alla criminalità organizzata di Petilia Policastro nella quale ha continuato a vivere». Il Ministero contesta a Marisa Garofalo «di non aver tagliato i ponti con la propria famiglia di origine ‘ndranghetista». Ora, a fronte di una nuova domanda, si aspetterà di sapere se il Viminale avrà cambiato idea, accogliendo la nuova richiesta, oppure se riconfermerà la stessa decisione.
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