«Sia i calabresi che i napoletani erano coinvolti mani, piedi e testa nelle stragi». A dirlo è stato il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, l'ex boss del quartiere Brancaccio di Palermo, sentito nel processo Rinascita Scott in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme contro le cosche di 'ndrangheta del vibonese. Una deposizione importantissima vista la caratura criminale del personaggio. Spatuzza è l'uomo che ha rubato la Fiat 126 che il 19 luglio dle 1992 venne impiegata come autobomba nella strage di via d'Amelio in cui fu ucciso il giudice Paolo Borsellino. Cooptato da Salvatore Grigoli, fu tra gli esecutori materiali dell'omicidio di don Pino Puglisi, per il quale è stato condannato all'ergastolo con sentenza definitiva. È stato inoltre condannato per altri 40 omicidi tra cui quelli di Giuseppe e Salvatore Di Peri, Marcello Drago, Domingo Buscetta (nipote del pentito storico di Cosa Nostra, Tommaso). Il 23 novembre 1993 rapì il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino, che sarebbe stato ucciso dopo oltre due anni di prigionia.
Spatuzza ha parlato di «sinergia stragista tra Cosa Nostra e la 'ndrangheta» riferendosi ai tre attentati compiuti in Calabria tra dicembre e gennaio 1993/1994, ai danni di tre pattuglie dei carabinieri, uno dei quali costò la vita a due militari. «Anche a Napoli c'era un progetto stragista perché era stato mandato dell’esplosivo».
«Eravamo a Roma e aspettavamo l’input definitivo di Giuseppe Graviano per agire e Graviano in quell'occasione disse che dovevamo sbrigarci a fare l’attentato perché i calabresi si erano mossi» ha detto tra l’altro Spatuzza facendo riferimento al fallito attentato contro i carabinieri in servizio di ordine pubblico allo stadio Olimpico di Roma. L’attentato fallì a causa di un guasto nel telecomando che doveva azionare autobomba pronta a esplodere al passaggio del pulmino dei carabinieri. Il collaboratore, rispondendo alle domande del pm della Dda catanzarese Annamaria Frustaci, ha anche riferito di un episodio avvenuto nel carcere di Tolmezzo: Spatuzza riferisce a Filippo Graviano delle lamentele dei calabresi e dei napoletani riguardo al carcere duro, nato in seguito alla stagione delle stragi che veniva imputata ai siciliani e ai Graviano in particolare. Al che, ha affermato il collaboratore, Graviano risponde «è bene che questi signori parlino con i loro padri per capire quello che è successo».
Spatuzza ha ripercorso anche i rapporti tra Cosa Nostra e la 'ndrangheta ricordando che negli anni '80 i due fratelli Notargiacomo vennero ospitati all’interno del villaggio turistico Euromare di proprietà dei Graviano. Dei due fratelli, Spatuzza ricorda che «uno era ferito a causa di una guerra all’interno delle famiglie calabresi. I Notargiacomo erano amici di Antonio Marchese, cognato di Leoluca Bagarella». Il collaboratore ha anche riferito dei legami tra le cosche calabresi Molè-Piromalli con i Graviano e con «Mariano Agate, capo della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo, al quale Giuseppe Graviano aveva dato 500 milioni delle vecchie lire per aggiustare un processo. I fratelli Graviano - ha aggiunto - si erano mossi per i Graviano. Da tramite fece Mariano Agate che teneva molto in considerazione i calabresi».
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