Il “re delle evasioni”. Pino Scriva, morto in una città del settentrione dove risiedeva da anni sotto mentite spoglie, è stato uno dei primi e più importanti pentiti della ‘ndrangheta nel secolo scorso. Veniva da una famiglia di Rosarno di “uomini di rispetto” protagonista negli anni 60 di una cruenta faida combattuta contro i Cunsolo. Una guerra che “Pinuzzo” visse accanto al padre, “Ciccio”, agli zii ed ai cugini intenzionati a vendicare il capostipite, Giuseppe, assassinato dai rivali nel 1949 nella Piana di Gioia Tauro. La sua “carriera” cominciò dunque caricando “doppiette” a lupara e schivando pallottole, fino a diventare un personaggio quasi leggendario della criminalità calabrese. Più volte arrestato riuscì ad evadere ben sette volte da caserme e penitenziari. La più clamorosa delle sue fughe fu quella dal carcere di Nicastro avvenuta nel luglio del 1970 quando, dopo aver preso in ostaggio degli agenti si calò dai tetti insieme con Carmelo Filleti, uno dei protagonisti della faida di Sinopoli e Sant’Eufemia D’Aspromonte condotta contro gli Alvaro-Violi, e con Salvatore Belvedere, pregiudicato di Sambiase, indicato come “l’uomo che visse due volte”. Belvedere, infatti, fece successivamente ritrovare un cadavere nelle campagne di Conflenti (Catanzaro) con i suoi vestiti e spacciandosi per morto, andò a vivere una seconda esistenza in Corsica. Scriva, invece, fuggì in Francia dove venne poi arrestato. La sua vocazione di “azionista” lo vide tuttavia di nuovo protagonista, ma questa volta, di un delitto “eccellente”: quello dell'avvocato generale dello Stato di Catanzaro, Francesco Ferlaino, freddato sul corso di Nicastro nel luglio del 1975. Scriva venne individuato attraverso un identikit realizzato grazie a un testimone oculare e , con lui, finì sotto processo Antonio Giacobbe, allevatore di Borgia, coinvolto nel sequestro di persona di Cristina Mazzotti. Nel processo celebrato nei loro confronti a Napoli i due furono, però, assolti. Quattro anni dopo, scegliendo di collaborare con la giustizia, Scriva si autoaccuserà del crimine ma non verrà creduto. Come pentito, a partire dal 1983, deporrà in decine di maxiprocessi, assistito dall’avvocato Giacomo Anelli. Lascerà il programma di protezione nel 2007, dietro lauta “liquidazione”.
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