Il piglio è quello di sempre. E la stoffa del leader Sandro Principe riesce a mostrarla pure nell’aula in cui si discute d’ingerenze mafiose nel composito mondo politico-amministrativo rendese. Siede sulla scranno testimoniale nella veste di imputato, per affrontare le domande del procuratore Pierpaolo Bruni, il magistrato che l’ha mandato sotto processo per i presunti ed equivoci rapporti mantenuti con personaggi della criminalità organizzata. Principe non arretra e accetta la sfida. Domande e risposte si susseguono nella logica ferrea del dibattimento. Bruni è un osso duro e Principe risponde da par suo. Il Tribunale, presieduto da Claudia Pingitore, osserva e valuta ogni parola senza mai tradire quel principio di terzietà caro alle dinamiche processuali. L’ex parlamentare, sottosegretario di Stato, sindaco e assessore regionale di cultura socialista, puntualizza all’incalzare dei quesiti posti dal procuratore Bruni, alcune cose. La prima: con i dirigenti comunali aveva rapporti istituzionali legati alla sua figura di leader politico. A Rende esercitava insomma il suo ruolo perchè a capo di una forza politico-amministrativa e dava «consigli» ai compagni di partito. A questo proposito, in relazione alla sindacatura esercitata da Umberto Bernaudo, oggi imputato nel medesimo processo, ha detto: «Non davo nessun tipo di direttiva riguardante scelte amministrative, mi limitavo a fornire alcuni consigli ai compagni di partito e non ero responsabile degli atti amministrativi».
Assunzioni sospette
La seconda: dell’assunzione di Michele Di Puppo e del boss Ettore Lanzino (quest’ultimo poi condannato con sentenza definitiva all’ergastolo) nella cooperativa di servizi “Rende 2000” attiva in città non sapeva nulla. «Non conoscevo nessuno dei due e non so come siano stati assunti. Appresi di Lanzino leggendo alcuni articoli sui giornali... Questa gente è lontanissima da me». Il Pm non si mostra per nulla convinto della spiegazione.
La questione D'Ambrosio
Poi arriva una domanda spinosissima del procuratore Bruni. E riguarda Adolfo D’Ambrosio, finito nelle maglie di alcune inchieste della Dda di Catanzaro e condannato successivamente per estorsione. In aula, il pentito Adolfo Foggetti, nei mesi scorsi, aveva confermato una delle ipotesi sostenute dalla pubblica accusa, cioè che a D’Ambrosio fosse stato dato in gestione un bar-chiosco di Rende proprio dal Comune. Foggetti dichiarò in dibattimento: «D’Ambrosio mi raccontò di aver ottenuto in gestione il bar dell’area mercatale di Rende. Gli davano i voti e appoggiavano chi volevano loro». Sul punto Sandro Principe chiarisce di essere amico da lunga data dello zio di D’Ambrosio, Aldo, perché da sempre «militante socialista» e quindi di averlo ricevuto nel suo ufficio. Poi ammette di aver incontrato, proprio in quella occasione, pure il nipote Adolfo D’Ambrosio senza sapere che «fosse una persona vicina alla criminalità organizzata». E quanto durò l’incontro e cosa vi siete detti|? chiede il Pm «Trenta secondi» risponde l’imputato «ma non ricordo, come posso ricordare?». Il legale dell’esponente politico, l’avvocato Franco Sammarco, ha rinunciato al controesame. Sandro Principe è imputato di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata dal metodo mafioso. Si torna in aula il 12 marzo.