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Cosenza, condannato per usura godeva del reddito di cittadinanza

Carlo Drago indagato dalla procura per aver ingannato l’Inps. Sott’inchiesta altre 7 persone

La procura di Cosenza ha chiuso le indagini preliminari

I soldi regalati dallo... Stato. Al diavolo le condanne e i precedenti penali: un’occasione del genere non poteva essere sprecata. E così lo scenario emerso nella Locride e nella Piana di Gioia Tauro, nel Vibonese e nel Crotonese fa ora il suo trionfale ingresso pure nell’Alta Calabria. L’indebita percezione del reddito di cittadinanza da parte di persone condannate in processi penali sembra infatti essere diventata pratica abituale anche nel Cosentino. Sei uomini e due donne, residenti a Cosenza e Rende, sono indagati dalla procura bruzia per aver attestato falsamente nelle dichiarazioni sostitutive presentate nel 2019 all’Inps di non aver riportato condanne. Gli accertamenti compiuti dalle forze investigative, coordinate dal pm Giuseppe Cozzolino, hanno invece dimostrato il contrario. Non solo: tra i “fortunati” beneficiari figura Carlo Drago, 56 anni, giudicato con sentenza definitiva nel 2014 per usura e coinvolto lo scorso anno nell’operazione antimafia “Testa del serpente” condotta dalla Dda di Catanzaro. L’uomo è stato in quell’occasione sottoposto a misura cautelare sempre per concorso in usura e dovrà comparire a breve davanti al Tribunale per essere processato. Smascherato dalle forze dell’ordine, nei suoi confronti è stato adesso emesso dalla magistratura inquirente, guidata dal procuratore Mario Spagnuolo, un avviso di conclusione delle indagini preliminari. Drago potrà entro venti giorni chiedere di essere interrogato oppure produrre memorie in propria difesa riguardo alle false attestazioni apposte in occasione della richiesta di accesso al beneficio statale. Altre sette persone finite con lui sott’inchiesta hanno, a loro volta, subito giudizi penali finiti con esisto sfavorevole. Si tratta di cinque persone (tre uomini e due donne) la cui posizione è stata valutata nell’ambito di procedimenti istruiti contro le organizzazioni mafiose operanti nell’area urbana cosentina e chiusi con sentenza definjtiva tra il 2012 e il 2014. A loro si aggiungono altri due condannati per estorsione con sentenza passata in giudicato nel 2015.
Le investigazioni disposte dalla Procura si sono basate sull’acquisizione dei documenti prodotti dai sospetati all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale e con la successiva verifica delle loro vecchi e nuove pendenze giudiziarie. Il controllo incrociato dei fascicoli presenti negli archivi di polizia e la verifica presso le sedi giudiziarie di Cosenza e Catanzaro dell’esito dei dibattimenti istruiti nei confronti degli indagati, hanno dato agli inquirenti il quadro indiziario ora contestato.
Lo scorso anno analoghe clamorose indagini hanno alzato il velo su altri personaggi gravitanti nel mondo della ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria, beneficiari del sussidio dato dallo Stato a quanti non hanno occupazione. Tra questi figurava pure Alessandro Pannunzi, figlio di “Bebè” Pannunzi, il “Pablo escobar” italiano, Eppoi personaggi di vario calibro dei clan operanti a Locri, Siderno, Reggio, Caulonia. A dicembre, la Guardia di finanza ha scoperto che perfino il boss di San Leonardo di Cutro, Alfonso Mannolo, percepiva il vantaggioso beneficio e, con lui, altre sette persone riferibili al suo clan.

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