Calabria

Martedì 30 Aprile 2024

La ’ndrangheta e l’affare dei rifiuti tossici in Calabria

Un misterioso fusto individuato a centinaia di metri di profondità su un relitto nel Tirreno

Il nemico invisibile e la terra svenduta dai boss. Patologie tumorali incipienti svelate da uno studio dell’Istituto superiore di sanità, informative desecretate dei servizi segreti, dichiarazioni di collaboratori di giustizia e di faccendieri internazionali, indagini condotte a più riprese dalle procura distrettuali di Catanzaro e Reggio, dimostrano l’interesse certo della ‘ndrangheta verso il traffico di rifiuti e di scorie nocive e radioattive. Un traffico lucroso, avviato in tempi non sospetti che ha poi avuto effetti disastrosi sull’ecosistema e sulle falde acquifere. Materiali altamente inquinanti e pericolosi per la salute pubblica sono stati interrati, negli ultimi decenni, in varie zone della regione, oppure inabissati in fondo al mare grazie all’affondamento pilotato di navi in via di dismissione. L’ultimo report di Legambiente e una interrogazione presentata al ministro della Giustizia dal senatore calabrese, Margherita Corrado, riaprono la questione mai risolta giudiziariamente, seppur più volte affrontata dalla magistratura inquirente. La ferita è sanguinante come dimostrano centinaia di morti per tumore registrati negli ultimi due lustri nelle cinque province calabresi. «Credo che le cosche mafiose» afferma il senatore Corrado «abbiano a lungo approfittato della mancanza di consapevolezza della cittadinanza rispetto ai danni alla salute cagionati dalle scorie, riuscendo così a nascondere impunemente in Calabria sostanze devastanti per la salute e l’ambiente». La parlamentare crotonese non ha torto.

Lo studio dell’Itisan

C’è uno “Studio epidemiologico dei siti contaminati della Calabria” prodotto dall’Istituto di Sanità (Itisan) che, seppur risalente a due anni fa, ha individuato nella nostra regione 73 aree a rischio marginale, 262 a rischio basso, 261 a rischio medio, 40 ad alto rischio. Tra quest’ultime, 18 sono davvero pericolose e così localizzate: 7 nel Cosentino, 2 nel Catanzarese, 1 nel Vibonese, 8 nel Reggino e 2 a Reggio. Nella fascia compresa tra Crotone-Cassano-Cerchiara, lo studio ha mostrato «eccessi di mortalità per tutte le cause: epatiti virali, tutti i tumori, tumori epatici, tumori renali e malattie dell’apparato digerente». Un’altra zona della Calabria suscita allarme: si tratta di una fetta di territorio compresa tra Fabrizia, Mongiana e Serra San Bruno, tra cui quella in cui è presente l’invaso dell’Alaco, dove sarebbero stati interrati fusti radioattivi. «Sull’insieme della popolazione nei tre comuni – nota l’Istituto superiore di sanità – si osserva nell’area in esame un eccesso significativo, rispetto alla popolazione della regione per tutte le cause di morte e i tumori. Appare ben documentata una sovra mortalità». A questa zona del Vibonese si fa riferimento nel Dossier “588/3” del Sisde (ex servizio segreto civile, oggi Aisi) desecretato nel 2014 per volontà del Parlamento. Nel testo del servizio di sicurezza, risalente al periodo ’94-’95, si parla di un traffico internazionale illegale di scorie tossico-radioattive. Lo stesso documento “riservato” riferisce esplicitamente di interessi delle cosche della ‘ndrangheta nel settore dell’interramento in quella porzione della provincia di Vibo e nella «fascia aspromontana del Reggino». Il servizio segreto spiega che «esiste un grosso traffico a livello nazionale riguardante lo smaltimento di sostanze tossico-radioattive gestito dalla ‘ndrangheta. Tra la Calabria e il Nord Italia vi sono decine di discariche abusive, in parte già individuate, che custodiscono circa settemila fusti di sostanze tossiche» . Le indicazioni degli 007 non hanno tuttavia trovato concreti riscontri giudiziari.

La Valle dell’Oliva

L’Istituto superiore della sanità, nella sua ricerca, indica poi nella Valle del Torrente Oliva, nel Cosentino, l’esistenza di una contaminazione «dovuta principalmente all’interramento illegale di rifiuti pericolosi in località Foresta» Lo studio rivela la presenza di diossine e policlorobifenili, metalli pesanti e radionuclidi artificiali fra i quali il Cesio 137 e indica «eccessi di mortalità per alcuni tumori maligni e malattie cardiovascolari, nonché un eccesso di ricoveri ospedalieri per tumori della tiroide».

La navi a perdere

Ma tra le carte desecretate dei servizi segreti arrivate sul tavolo della Commissione d’inchiesta parlamentare sul traffico dei rifiuti, è spuntato pure un elenco di 90 navi affondate nel Mediterraneo tra il 1989 e il 1995. Natanti per l’intelligence legati allo smaltimento illegale «di scorie radioattive». Di prove concrete, tuttavia, dell’esistenza di rifiuti radioattivi non se ne sono mai avute. È stato il senatore Margherita Corrado, come già accennato, a riaprire la questione con una interrogazione presentata al guardasigilli, Alfonso Bonafede. «Per truffare le assicurazioni e sbarazzarsi di rifiuti industriali, ma forse anche radioattivi, evitando i costi dello smaltimento legale – afferma Margherita Corrado – nei decenni passati i fondali intorno alle coste del Sud Italia sono stati trasformati in un cimitero di “navi dei veleni” o “navi a perdere”». La senatrice Corrado sollecita «una mappatura geo-chimica dei fondali territoriali di Calabria, Puglia, Basilicata, Campania e Sicilia in grado di indicare la qualità chimica dei sedimenti; analisi radiochimiche sul pescato ionico/tirrenico; una mappatura degli eventuali spiaggiamenti di contenitori di rifiuti industriali; e, infine, la ricerca e identificazione della posizione di tutte le “navi dei veleni”». Oggi, l’unica soluzione possibile per dare risposte al mistero dei cosiddetti “relitti a perdere” è però gelosamente custodita in fondo al mare. Nascosta a 1400 metri di profondità, nelle stive della nave “Rigel”, in acque internazionali, nel tratto di mare che spazia sino all’orizzonte, davanti a Capo Spartivento. Il comandante e l’equipaggio del mercantile di 3800 tonnellate, affondato il 21 settembre 1987 alle coordinate di longitudine 37° 58 Nord, e latitudine 16° 49 Est, ossia venti miglia nautiche a sud-est della costa calabra, vennero soccorsi da un natante in transito ma non sono mai stati rintracciati, mentre i caricatori e l’armatore hanno incassato - come più volte la Gazzetta ha sottolineato in questi anni - una condanna definitiva per truffa alle assicurazioni dal tribunale di La Spezia. Gl’imputati hanno ammesso che il naufragio venne inscenato per intascare la polizza contratta con i Lloyd’s di Londra. Nessuno, però, ha spiegato alla magistratura italiana cosa trasportasse realmente la misteriosa nave. Dalle carte risultavano imbarcati polvere di marmo e blocchi di cemento. Dalle informazioni assunte dagli organi investigativi e dai servizi di sicurezza risulterebbe, però, tutt’altro: cioè che a bordo c’erano rifiuti radioattivi. La circostanza, tuttavia, non è stata dimostrata proprio perchè il relitto della “Rigel” non è mai stato ritrovato. La ragione è semplice: al momento del naufragio “pilotato” vennero trasmessi ai Lloyd’s punti nautici volutamente errati. Dunque, tutte le ricerche successivamente avviate sono partite da un’area marina sbagliata.

Le confessioni

Delle navi affondate con le stive cariche di materiali radioattivi hanno parlato a più riprese manager e faccendieri del calibro di Marino Ganzerla, Renato Pent, Aldo Anghessa e Gianpaolo Sebri. Dell’interramento delle scorie hanno invece riferito personaggi piccoli e grandi della criminalità organizzata meridionale: dal casalese Carmine Schiavone, ai picciotti della ‘ndrangheta Giuseppe Morano e Mattia Pulicanò. Nessuno però è mai riuscito ad individuare le scorie, che potrebbero essere sepolte nelle aree preaspromontane ioniche del Reggino dove l’incidenza dei tumori e di altre singolari patologie ha raggiunto livelli elevatissimi. Come, d’altronde, nella Piana di Gioia Tauro.

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