I numeri non raccontano mai bugie. E sulle cifre si gioca la partita più importante, quella contro il Covid che si è impossessato delle nostre vite, delle nostre città, dei nostri ospedali. Un virus che si muove su un campo di battaglia sterminato, corroso, che porta i segni dell’erosione devastante di novembre. Seguirlo non è più possibile da metà ottobre, quando il sistema di tracciamento è saltato dappertutto. Il rischio, allora, è quello d’averlo perso di vista anche nelle statistiche ritenute poco convincenti dall’Istituto superiore della sanità che continua a bocciare i valori trasmessi (e in parte non trasmessi) dalla Calabria. Ma perché la regione non riesce a togliersi di dosso l’etichetta di terra a rischio di trasmissione del patogeno? Da almeno tre settimane i rimproveri fioccano nei report della “Cabina di regia” del Ministero della Salute e dell’Iss. Puntuali i richiami sulla valutazione complessiva di rischio (che, poi, è quella che governa la stima dell’indice Rt) per un dato non valutabile e, di conseguenza, che finisce per essere assimilato allo scenario più pericoloso. Nel report, che sintetizza la settimana tra il 23 e il 29 novembre, con dati aggiornati al 2 dicembre, c’è forse la soluzione del rebus. Dai flussi, che viaggiano quotidianamente, da Catanzaro verso Roma, emerge da debolezza di un parametro chiave per definire completamente la valutazione del rischio. Un valore che rappresenta il primo indicatore di processo sulla capacità di monitoraggio delle singole regioni. E nel monitoraggio viene definito come il «numero di casi sintomatici notificati per mese in cui è indicata la data inizio sintomi e il totale di casi sintomatici notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud