Fiamme, nubi nere, finestre chiuse, scuole evacuate. In alcuni casi - come a Motta San Giovanni, nel Reggino - i rifiuti continuano a bruciare per mesi. In altri, con gli interventi dei vigili del fuoco e della protezione civile, si riesce a domare il rogo, dopodiché arriva l’Arpacal a misurare i livelli di eventuale inquinamento dell’aria. Finora non è emerso in questo senso niente di preoccupante per la salute dei cittadini ma certo è parecchio inquietante la serie di incendi in impianti di rifiuti avvenuta nelle ultime settimane in Calabria. L’ultimo in ordine di tempo risale al 5 ottobre e si è verificato a Squillace, con le fiamme divampate per diversi giorni in un impianto per lo stoccaggio della raccolta differenziata in cui c’era carta, plastica, alluminio. A ritroso, episodi analoghi sono avvenuti in un sito di ingombranti a San Gregorio d’Ippona (nel Vibonese), nell’isola ecologica di Nocera Terinese, nella discarica di Vetrano (tra San Giovanni in Fiore e Caccuri) e Cassano allo Ionio, in due capannoni di indifferenziata a Siderno, in un deposito di ingombranti a Corigliano Rossano, in alcuni impianti di trattamento di rifiuti nell’area ex Sir a Lamezia Terme. Una sequenza impressionante, un’emergenza nell’emergenza. Di tutti questi episodi, finora, solo quelli di Corigliano Rossano e di San Giovanni in Fiore pare possano essere stati generati da autocombustione. Sugli altri si allungano ombre inquietanti e pesa il sospetto delle «logiche criminali» evocate esplicitamente dall’assessore regionale all’Ambiente Sergio De Caprio, a cui ha fatto eco il direttore generale dell’Arpacal, Domenico Pappaterra, che passando in rassegna i roghi - e includendovi anche Corigliano e San Giovanni - ha detto che «non possono essere considerati una mera casualità», aggiungendo che è «fin troppo evidente che la Calabria in queste settimane sia sotto un attacco criminale-ambientale». Ma su tutto il ciclo dei rifiuti, in un sistema di cui la Calabria è un tassello o peggio il terminale, si addensano gli interessi di un «giogo criminale» e di «lobby economiche - sono sempre parole del Capitano Ultimo - che hanno a cuore il proprio interesse a discapito del bene pubblico». Lo ha detto chiaramente anche la pm lametina Marica Brucci parlando di «una nuova e importante Terra dei fuochi». E lo hanno rivelato anche alcune indagini partite da roghi di rifiuti avvenuti nel Nord Italia, spesso in impianti formalmente autorizzati alla gestione. È emerso come alcune società regolari venissero utilizzate come schermo per nascondere traffici di rifiuti stoccati abusivamente e abbandonati in capannoni ufficialmente dismessi. I metodi più usati, stando a quanto viene fuori dalle inchieste recenti, sono quelli dei trasbordi da camion a camion e, soprattutto, del “giro bolla”, un giro fittizio di documenti attraverso cui le società in regola acquisiscono formalmente i rifiuti senza però mai scaricarli dai camion. Il contenuto dei cassoni dei mezzi viene quindi classificato come «non rifiuto» con un nuovo documento di trasporto e trasportato nei luoghi di abbanco abusivo. Sul business incombe ovviamente l’interesse della ’ndrangheta e spesso gli strumenti normativi lasciano delle falle attraverso cui imprenditori ritenuti organici o “teste di legno” dei clan gestiscono, direttamente o attraverso persone di fiducia, ditte che, magari spostando la loro sede legale, riescono a ottenere un appalto dopo l’altro. In un’interrogazione rivolta ai ministri dell’Ambiente, dell’Interno e della Giustizia da otto parlamentari calabresi del M5S, infatti, si mette in luce «la possibilità, per ditte con potenziali problemi di infiltrazioni mafiose, già evidenziata dal deputato Giuseppe d’Ippolito, di iscrizione all’Albo gestori ambientali aggirando la certificazione antimafia o comunque mediante operazioni di trasferimento di sede o cambi di intestazione». La stessa pm Brucci ha spiegato come dall’indagine condotta sull’asse Lamezia-Milano - che ha svelato lo sversamento di rifiuti in terreni vicini a coltivazioni di ulivo tra Gizzeria e Lamezia - sia emerso «il traffico di società iscritte all’Albo dei Gestori Ambientali» che, in realtà, sarebbero «scatole vuote prive di capacità economica in grado di falsificare i formulari di trasporto dei rifiuti».