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I "padroni" di Pizzo, così le cosche si sono spartite il territorio

Pizzo

Da una parte la cosca di Rocco Anello, dall’altra i Bonavota di Sant'Onofrio. Erano loro, secondo quanto emerge dall’inchiesta della Distrettuale di Catanzaro, i “padroni” di Pizzo. I loro picciotti dominavano in lungo e largo alla Marinella come su via Nazionale. Mentre i Mancuso “passeggiavano” comodamente alla Marina.

Una lottizzazione perfetta in mano alle consorterie più potenti della ’ndrangheta. Con loro loro dovevano fare i conti le ’ndrine locali ed i grandi imprenditori a cominciare da Francescantonio Stillitani, ex sindaco di Pizzo, per anni consigliere regionale ed ex assessore, esponente politico di spessore, artefice e canalizzatore di grandi flussi turistici lungo la costa vibonese. Sono stati una sua invenzione i grandi villaggi delle vacanze capaci di attrarre nella zona tedeschi, francesi e russi. Affari, turismo e naturalmente business per cosche e imprese a loro collegate, succhiando fino all’ultima goccia tutto il tessuto produttivo. I boss chiedevano e gli imprenditori pagavano. Un sistema che secondo quanto emerge è andato avanti per anni. Tutto attorno a Pizzo, meta turistica tra le più importanti della Calabria dove gli Anello prima ed i Bonavota dopo hanno sempre mantenuto un “posto al sole”.

E così Pizzo, dopo il maxi-blitz Scott Rinascita, che ha visto coinvolti l'ex sindaco Gianluca Callipo, l'ex comandante dei vigili urbani Enrico Caira e noti imprenditori, torna sotto i riflettori della Distrettuale antimafia di Catanzaro a dimostrazione del fatto che per decenni da queste parti molti si sono girati dall'altra parte. A testimoniare la pesante ingerenza delle cosche pure una intercettazione agli atti dell’inchiesta “Ignoto 23”, condotta dai magistrati della Procura di Milano, nel corso della quale tale Raffaele Cugliari, esponente di primo piano dei Bonavota, in un colloquio con Carmelo Mallimaci, riferiva su alcuni provvedimenti dei carabinieri relativi al ritiro di una licenza per la somministrazione di bevante in locali pubblici ed implicitamente svelava alcuni retroscena.

«... a Pizzo ne hanno chiusi altri sette... vi sembra che solo a me, me l’hanno chiusa, però siccome questa qua è una cosa.. loro non hanno mangiato magari hanno a qualcun altro come a loro, peggio di loro salvando le belle facce... là sotto a Pizzo che lì sono tutti una massa di infami come questi qua se lo sono presi Pizzo..., dice che sulla Nazionale comandiamo noi, ci dividiamo le cose perché comandano i Mancuso, dice che ognuno abbiamo la zona nostra, dice che alla Marina ci sono i Mancuso, con i bar della piazza. Là sopra alla (via) Nazionale ci sono i Bonavota, di cui gestisce tutto Cugliari e là sotto alla Marinella – dice – c’è Rocco Anello che gestisce il figlio Domenico...».

Eppoi ancora: «Compare Carmelo..., ma credete una cosa? Voi è una vita ora che mi conoscete, è una vita... sotto a Pizzo è zona di marina (ovvero di mare ndr) non sono come noi, avete capito? Sono gente di marina, non valgono niente, avete capito che vi voglio dire? Sono persone così, che si bestemmiano le mamme tra loro, drogati con gli orecchini a 60 anni con gli orecchini.. non ve li regolate...??? Come qua sopra? Peggio!».

Le indagini mettono a fuoco anche il ruolo della ’ndrina promossa da Salvatore Francesco Mazzotta, sodale battezzato dalla consorteria di Piscopio, ritenuto un emergente nel territorio di Pizzo, anche se di recente recente faceva riferimento alla cosca Bonavota. Tuttavia Mazzotta, secondo gli investigatori, era un uomo a tutti gli effetti dei Piscopisani che attraverso i loro uomini più fidati cercavano di allungare i tentacoli anche sulla costa: da Vibo Marina a Pizzo. Identico progetto quello dei Pardea-Ranisi di Vibo, che sulla scorta di quanto affermato dal pentito Bartolomeo Arena, avevano stretto legami piuttosto stretti con gli Anello di Filadelfia e per loro mettevano in atto estorsioni. Strategie criminali finalizzate, secondo quanto emerge, a mettere le mani su un territorio dalle forti potenzialità economiche.

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