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Processo da aggiustare a Catanzaro, 100.000 euro per corrompere un giudice inconsapevole

Il tribunale di Catanzaro

La confessione dell’avvocato. Francesco Saraco, civilista, si ritrova nel bel mezzo di una trattativa avviata per “aggiustare” il processo che coinvolge il padre. Il dibattimento deve celebrarsi in sede di appello ed il legale  parla della vicenda giudiziaria a un amico cosentino, Pino Tursi Prato, che ha conosciuto da poco.

Glielo hanno presentato come un “politico” ed è vero: Tursi Prato è stato consigliere regionale del Psdi, presidente dell’Usl di Cosenza prima di finire nei guai e incassare una condanna definitiva per mafia. Una condanna poi scontata che non l’ha però costretto a stare lontano dagli ambienti della politica calabrese.

L’avvocato Saraco, messo alle strette dal procuratore aggiunto di Salerno, Luca Masini,  racconta del tentativo fatto, ma andato a vuoto, di raggiungere la presidente della Corte di Appello di Catanzaro che doveva occuparsi del processo del padre. Una giudice di Cosenza, al quale con uno stratagemma Tursi Prato e altri protagonisti di questa storia cercano di arrivare per il tramite della famiglia del marito.

Il piano ordito per “agganciare” il magistrato non riuscirà e il padre dell’avvocato Saraco sarà condannato anche a conclusione del dibattimento di secondo grado. Francesco Saraco, tuttavia, racconta che Pino Tursi Prato gli chiese  l’emissione di un assegno di centomila euro che sarebbe stato destinato al giudice e al coniuge avvocato in caso di riuscita dell’«aggiustamento» del processo.

Ecco cosa dice l’avvocato Saraco: «Io consegni un assegno intestato a Pino Tursi Prato di centomila euro tratto sul conto corrente della mia banca di Soverato. Un assegno che egli mi chiese a garanzia».

Ma quello che avvenne dopo è tragicomico: Tursi Prato disse che serviva denaro contante come acconto e ottenne la dazione di ventimila euro che l’avvocato Saraco gli consegnò nel suo studio di Satriano ed a Lamezia Terme. Soldi buttati... considerando che il padre venne condannato e il giudice da corrompere non fu mai al corrente di nulla.

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