Il porto di Santos. Uno degli scali più importanti e frequentati dell’America Latina con navi-cargo che fanno la spola con ogni angolo del mondo. Navi che partono dirette ad Anversa, Algesiras, Rotterdam, Marsiglia, Sidney, Melbourne, Genova e... Gioia Tauro.
È proprio tra quelle banchine affollate di uomini e di merci che i narcotrafficanti più potenti della terra del Samba – quelli del Primeiro Comando da Capital – ed i broker della ’ndrangheta calabrese organizzano le spedizioni verso l’Europa e l’Australia.
È dal cuore del Brasile, infatti, che sono stati spediti in Italia centinaia di chili di cocaina prodotti e lavorati in Bolivia. “Roba” di prima qualità approdata in parte, negli anni scorsi, nel porto di Gioia Tauro.
La città dello Stato di San Paolo, resa famosa nel pianeta dal commercio del caffè e dal grande Pelè che militava nel Santos, è diventata per i mafiosi calabresi ciò che un tempo era la Bogotà di “don Pablo” Escobar Gaviria. E lì, infatti, che i boss nostrani mandano i loro emissari a trattare con i “compari” del Pcc.
L’ultimo carico destinato a Gioia Tauro è stato bloccato e sequestrato nel novembre scorso dalla polizia federale brasiliana prima che lasciasse il porto paulista. In un container erano stipati 200 chili di “polvere bianca”. E proprio in un residence di San Paolo, nel luglio del 2019, sono stati arrestati il superboss Nicola Assisi e il figlio, Patrick, originari di Grimaldi, piccolo paese del Cosentino, ma operativi in Piemonte.
I due, latitanti da tempo, sono stati trovati in possesso di denaro, droga e punzonatori utili a sigillare i container navali. Il successivo 16 settembre, invece, è stato arrestato dagli agenti della polizia federale sudamericana Andre de Oliveira Macedo, detto “Andre do Rap”, scovato in una villa ad Angra dos Reis, una nota località marittima a circa 150 chilometri da Rio de Janeiro.
«Secondo le informazioni delle agenzie di intelligence internazionali, l’uomo era a capo del gruppo del Pcc incaricato di inviare droga dal porto di Santos alla Calabria, e da lì nel resto d’Europa», ha dichiarato dopo l’arresto il commissario brasiliano Fabio Pinheiro Lopes. La rete intercontinentale del traffico di stupefacenti, messa in piedi da latitanti calabresi e sudamericani, ha perso nei giorni scorsi un’altra maglia importante. Già, perché grazie alla Dea statunitense, la polizia brasiliana ha arrestato a Maputo, in Mozambico, Gilberto Aparecido dos Santos, meglio conosciuto come “Fuminho”, uno dei più noti narcos del Paese e storico leader del Primeiro Comando da Capital (Pcc).
L’uomo è stato estradato dopo poche ore in Brasile a bordo di un aereo delle Forze armate sudamericane con a bordo una decina di agenti di polizia. Le autorità di Maputo avevano arrestato, dopo venti anni di latitanza, il boss che sembrava ormai imprendibile, contestandogli di aver fatto illegalmente ingresso nel Paese.
“Fuminho” come “Andre do Rap” potrebbe raccontare molte cose sui rapporti avuti dalla sua organizzazione con i calabresi. Parlerà? Difficile dare una risposta. Dipenderà dall’offerta che gli verrà fatta in cambio d’una eventuale collaborazione. Nella commercializzazione della cocaina, negli ultimi trent’anni, la ’ndrangheta, oltre che con i brasiliani, ha flirtato con i cartelli colombiani di Cali e Medellin, le Autodefendas Unidas de Colombia, il clan degli Usuga, il gruppo del Norte del Valle e de “La Officina”; e con i messicani del cartello del Golfo, del Sinaloa e con i Los Zetas.
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