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«La pescheria? Qua no», costretto ad aprire in un’altra zona: la "legge" dei Labate a Reggio

Associazione mafiosa ed estorsione aggravata dal ricorso al metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la ’ndrangheta: queste le accuse contestate dalla Direzione distrettuale antimafia con l’operazione “Helihantus” scattata all’alba di ieri e che ha fatto luce sugli affari economici della cosca Labate di Reggio Calabria.

Promotori della presunta associazione mafiosa sarebbero stati Pietro e Antonino Labate, Rosso Cassone, Orazio Assumma e Domenico Foti. Il ruolo di “partecipe” viene invece attribuito a Paolo Labate (classe 1982), Antonio Galante, Caterina Cinzia Candido, Santo Gambello, Paolo Labate (classe 1984), Fabio Morabito, Francesco Marcellino.

Pietro Labate e Orazio Assumma avrebbero invece costretto un imprenditore, impegnato nella realizzazione di un complesso immobiliare sul viale Aldo Moro di Reggio Calabria, a pagare a titolo di “pizzo” la somma di 200mila euro (versata in più tranche tra il 2013 ed il 2015), nonché ad acquistare materiale edile presso il colorificio riconducibile all’indagato Orazio Assumma.

A Domenico Foti è stato contestato il delitto di estorsione aggravata, per avere costretto due imprenditori, impegnati nella realizzazione di un complesso immobiliare nella via Torricelli Ferrovieri-San Pietro di Reggio Calabria, a pagare a titolo di “pizzo” la somma di 20mila euro (versata, tra il 2017 ed il 2018, in quattro tranche da 5mila ciascuna e costituente parte della maggior somma di 30mila euro complessivamente richiesta), nonché ad acquistare materiale edile presso il colorificio riconducibile di Assumma.

Ad Orazio Assumma e Domenico Pratesi, è stato contestato il delitto di estorsione aggrava per aver costretto – secondo l’accusa – un imprenditore impegnato nell’edificazione di un complesso immobiliare nel viale Messina-adiacenze Piazzale Botteghelle di Reggio Calabria, a versare a titolo di “pizzo” la somma di 50mila euro (prima tranche della più ampia somma di 150mila euro, costituente l’importo complessivamente richiesto), nonché ad acquistare materiale edile presso il colorificio nella disponibilità di Assumma.

L’inchiesta coordinata dalla Dda ha fatto luce sugli affari economici della cosca Labate, svelando un certo dinamismo in alcuni settori illeciti come quello delle scommesse on line, delle slot machine e dello sfruttamento delle corse clandestine di cavalli. La cosca, secondo le indagini, manteneva tuttavia un elevato interesse per quello che rappresenta il core business delle attività criminali dei “Ti Mangiu”, il sistematico ricorso ad attività estorsive nei confronti di operatori economici, commercianti e titolari di piccole, medie e grandi imprese, specialmente di quelli impegnati nell’esecuzione di appalti nel settore dell’edilizia privata nell’area ricadente sotto il dominio della consorteria mafiosa.

Estorsioni per alcune centinaia di migliaia di euro sono state imposte, con pesanti minacce, agli imprenditori durante i lavori di esecuzione di complessi immobiliari nel quartiere Gebbione controllato capillarmente dai Labate. Ad alcuni imprenditori veniva anche imposto con la forza dell’intimidazione l’acquisto di prodotti da aziende nella disponibilità del clan.

Ad un commerciante è stato impedito di aprire una pescheria nel quartiere perché dava fastidio al titolare di un analogo esercizio commerciale, affiliato alla cosca. L’ordine, in quest’ultimo caso, sarebbe stato perentorio: individuare una diversa zona dove intraprendere l’attività commerciale. Della vicenda si parla in numerose intercettazioni: «Lo fa dalla Biellese ad andare da quel lato... nel corso... nel viale Quinto più lontano se lo vuole fare... Questo doveva venire domani sera per prendere la risposta...». E ancora: «Gli devi dire bello pulito pulito però: qua c’è lo spaccio, non se ne fa qua. Poi né più avanti, né più indietro. Hai capito? Punto e basta». Alla fine, due mesi dopo, la pescheria apre in una traversa del viale Calabria, «zona indicata dal boss Antonino Labate – scrivono gli inquirenti – come luogo idoneo ad avviare l’attività commerciale». Una sorta di piano commerciale parallelo. E illegale. Nel senso che apriva solo chi volevano i “Ti Mangiu”.

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