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Da Venezia il clan dei locridei "comandava" il narcotraffico

Antonio Vadalà

«Nell'arco temporale abbracciato dalle indagini si è potuto apprezzare un organismo stabile, dotato di una struttura consolidata e di un'organizzazione di locali, mezzi e strumenti, composto da soggetti legati tra loro da un vincolo stabile i quali condividevano e partecipavano la volontà di instaurare un canale durevole attraverso cui importare dal Sudamerica ingenti quantità di cocaina». Lo scrive il gup di Venezia Francesca Zancan nelle motivazioni della sentenza del processo in abbreviato nato dalla maxioperazione “Picciotteria bis” che si è concluso in primo grado con condanne a poco meno di 2 secoli di carcere per 17 imputati e un'assoluzione.

Gli imputati, in gran parte originari della Locride, sono accusati di aver fatto parte di un'associazione dedita al narcotraffico che avrebbe importato dal Sudamerica ingenti quantitativi di droga, in almeno una circostanza nascosta in vasi contenenti integratori alimentari, e prodotti per fitness.

La presenza della narcoassociazione in Laguna è emersa, secondo la conclusione del gup, anche dalle numerose intercettazioni, dalle annotazioni di un agente sotto copertura, dai servizi di osservazione e dalle videocamere installate negli immobili utilizzati per lo stoccaggio dello stupefacente. L'agente sotto copertura, nome in codice “UC 8067” ha descritto l'associazione come una struttura “a stella” composta da «diverse figure criminali, riconducibili a gruppi di diversa provenienza territoriale, unite attorno ad un nucleo centrale (Violi), formando una entità unitaria, condividendo mezzi e risorse e un unico programma criminoso, nella consapevolezza dell'esistenza delle altre componenti operative e con piena condivisione di ruoli e scopi».

Ancora oltre: «Così si è potuto distinguere il c.d. gruppo dei Milanesi, composta da Palamara, Catalano, Fuda e Femia, inizialmente collegati a Vadalà Antonino, che sono entrati a far parte del sodalizio grazie a Zappia Leo; Virgara e Monteleone, legati a Santo Morabito, legati al contesto calabrese e in contatto anche con cosche di 'ndrangheta radicate in Lombardia; a questi si aggiungono figure minori, ma rilevanti per la vita dell'associazione, quali Dascalu Mariana, Vadalà Pasquale Edoardo, Palamara Leo». «Si osserva - si legge infine - che le varie figure che rappresentano le punte immaginarie di tale stella non sono rimaste entità autonome a sé stanti e il fatto che i soggetti mirassero a un tornaconto personale non è ostativo alla configurabilità del sodalizio».

Tra gli imputati condannati c'è anche l'imprenditore di Bova Marina Antonino Vadalà, difeso dagli avvocati Antonio Mazzone e Pietro Bertone, già arrestato e poi rilasciato in Slovacchia nell'ambito delle indagini per l'omicidio del giornalista Jàn Kuciak e della sua fidanzata. Vadalà, per il quale è stato escluso ogni riferimento alle vicende slovene, è stato condannato a 9 anni e 4 mesi di reclusione, con riduzione di due anni rispetto alla richiesta di pena della procura.

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