La svolta antimafia della chiesa cattolica calabrese. La Conferenza episcopale regionale marca con decisione il sentiero della nuova pastorale rivolta al futuro clero che opererà in questa nostra terra, una terra impastata col sangue delle troppe vittime di mafia e il dolore dei tanti imprenditori oppressi, costretti a pagare periodicamente la “mazzetta” ai signori del racket.
Quella dei vescovi rappresenta una scelta destinata a provocare uno stravolgimento nella storia della pastorale nei confronti del potere mafioso. Domani, alle 14.45, nel salone del President Jolì di Castrovillari, verrà presentato il corso istituzionale accademico che la Cec ha preteso per la formazione dei suoi religiosi sul tema “La Chiesa di fronte alla 'ndrangheta”.
La didattica sarà poi attivata nell'istituto teologico calabrese “San Pio X” di Catanzaro, aggregato alla Pontificia facoltà dell'Italia meridionale di Napoli. La Chiesa ha deciso di chiudere definitivamente le porte ai boss e ai loro reggipanza: non ci saranno più inchini di statue davanti alle abitazioni di malavitosi, non ci saranno per loro sacramenti. Nei confronti dei mafiosi sarà applicato il protocollo della scomunica annunciato da Papa Francesco, nel giugno del 2014, dalla spianata di Sibari.
Quel giorno il pontefice, scese in Calabria nella terra di Cocò, e davanti a 250mila fedeli, attaccò quella 'ndrangheta senza onore, quella 'ndrangheta di vigliacchi che all'epoca si facevano (ma continuano a farsela anche adesso) la guerra per il controllo della droga. E per la droga quella 'ndrangheta non risparmiò la vita di un bambino di quattro anni. Quella fu la seconda volta che un pontefice reagì con forza alla violenza del potere mafioso. Prima di Bergoglio era stato Giovanni Paolo II a scagliarsi contro i boss con il profetico discorso della Valle dei Tempi di Agrigento. Il Papa-Santo si rivolse agli assassini di cosa nostra invitandoli a cambiare vita, a pentirsi convertendosi al Vangelo. L'anatema lanciato ai mafiosi si concludeva con un avvertimento: «Un giorno verrà il Giudizio di Dio...».
Da quella spianata archeologica la speranza sembrò improvvisamente rinascere e correre verso l'infinito di una Chiesa più coraggiosa e laica. Una Chiesa che non si piegò più davanti all'arroganza delle coppole e dei loro reggipanza. Un atteggiamento che provocò l'ira dei mafiosi che scatenarono la strategia della tensione con le bombe a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro. E, soprattutto, con l'omicidio di don Pino Puglisi, parroco a Brancaccio, uno dei quartieri popolari di Palermo. Il prete del popolo pagò con la sua vita il suo desiderio di salvare tanti ragazzi di strada. Giovani che accoglieva nella sua parrocchia, sottraendoli alla criminalità organizzata.
Questa scelta della Chiesa calabrese, guidata da monsignor Vincenzo Bertolone, è chiara: contrastare con decisione la cultura mafiosa per restituire a questa nostra terra la speranza.
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