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L'asse della droga tra gli Usa e Gioia Tauro, nuovo processo per i presunti narcos calabresi

Nessun dubbio della Corte di Cassazione: la “base criminale” era Gioia Tauro. Era nella Piana la “mente” dell'organizzazione internazionale smantellata a maggio del 2015 con la collaborazione dell'Fbi, che ha messo le mani su una centrale della 'ndrangheta in un ristorante del Queens, a New York, e un colossale traffico di cocaina che partiva dal Costa Rica, veniva stoccata nei porti Usa e da lì destinata ai mercati italiani ed europei.

In quell'occasione la Dda reggina, che ha coordinato le indagini dello Sco e della Squadra mobile della città dello Stretto, ha emesso un provvedimento di fermo a carico di 13 calabresi per associazione aggravata finalizzata al narcotraffico.

Il principale imputato nell'inchiesta “Columbus”, Gregorio Gigliotti è stato condannato negli Stati Uniti insieme alla moglie e al figlio. E proprio da un'inchiesta che ha avuto come epicentro il ristorante nel Queens, di proprietà di Gigliotti, ha preso il via l'operazione “Columbus”. L'Fbi, dopo mesi di indagini, fece irruzione nel locale gestito dal calabrese di Serrastretta, in provincia di Catanzaro, sequestrando cocaina e marijuana, oltre 100mila dollari, sei pistole e un fucile.

Per gli altri il processo è andato avanti in Italia. Fino alla battuta d'arresto dello scorso aprile, quando la Corte d'Appello di Reggio ha annullato la sentenza con cui il Tribunale di Palmi aveva condannato 5 presunti narcos, soci d'affari dei picciotti calabresi trapiantati nel Queens. Una decisione che ha comportato in automatico l'immediata liberazione degli imputati se non detenuti per altra causa (si tratta di Cosimo Berlingeri di Oppido Mamertina e Basilio Caparrotta di Sant'Onofrio, Domenico Berlingeri di Lamezia, Franco Fazio di Pianopoli e Pino Fazio di Lamezia).

I giudici di piazza Castello hanno accolto l'appello presentato dai 5 imputati condannati il 13 dicembre 2017 dichiarando «l'incompetenza per territorio del Tribunale di Palmi» e disponendo la trasmissione degli atti al pm di Catanzaro affinché dia il via a un nuovo procedimento. Tutto da rifare, quindi. E a complicare il quadro, a sua volta il gup di Catanzaro, nell'esaminare la posizione di altri due imputati, Carmine Violi e Francesco Violi, già a marzo del 2019 si era dichiarato incompetente e aveva sollevato conflitto di competenza in favore di Reggio davanti alla Cassazione. Che adesso, con apposita sentenza, si esprime sulla competenza disponendo l'immediata trasmissione degli atti in riva allo Stretto.

«Appaiono condivisibili - scrivono i magistrati di piazza Cavour - le conclusioni alle quali giungeva il gup di Catanzaro che evidenziava come il gruppo criminale transnazionale aveva il suo centro operativo nell'area di Gioia Tauro, com'era evidente dagli incontri, monitorati nel corso delle indagini preliminari, tra Gregorio Gigliotti, Francesco Fazio e Francesco Violi. In tali incontri, infatti, venivano concordate le modalità con cui le partite di droga sarebbero state trasportate dall'America alla Calabria, dove sarebbero state smerciate dalla rete di trafficanti, attiva nel territorio di Gioia, collegata ai fratelli Violi».

Negli Stati Uniti insieme a Gigliotti e alla sua famiglia erano stati condannati anche i narcos del gruppo proveniente dal Costa Rica che, secondo quanto emerso nel corso delle indagini degli agenti federali americani, avrebbero fornito la droga al gruppo che avrebbe fatto capo a Gigliotti. Dalle indagini dell'Fbi sarebbe emerso che dietro il titolare del ristorante-pizzeria “Cucino a modo mio” si sarebbe celato un broker della droga. L'uomo, infatti, avrebbe potuto contare su molti contatti con esponenti delle famiglie mafiose newyorkesi, con personaggi di spicco della ‘ndrangheta, cioè un cartello della famiglia degli Alvaro di Sinopoli, con i narcos sudamericani, ed in particolare, quelli del Costa Rica finiti nell'inchiesta americana e condannati insieme a Gigliotti e alla sua famiglia.

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