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'Ndrangheta a Isola di Capo Rizzuto, torna in carcere Rocco Devona

Nella giornata di ieri il personale della polizia di Stato ha arrestato Rocco Devona, 35 anni, con l’accusa di associazione di tipo mafioso. L’arresto è da collegare all’indagine, svolta dalla Squadra Mobile e dal Servizio centrale Operativo sotto l’egida della Procura della Repubblica-Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, sfociata nel dicembre scorso nell’operazione “Tisifone” che portò, la mattina del 20 dicembre, al fermo di 23 persone accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsione, tentata rapina, incendio, porto e detenzione illegale di armi e munizioni e illecita concorrenza con minaccia aggravata dal metodo mafioso.

In quell’occasione le catture disposte dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro furono legate a quanto stava emergendo nel corso dell’indagine che aveva riacceso i riflettori sulle nuove dinamiche criminali operanti sul territorio di Isola di Capo Rizzuto, venutesi a creare a seguito dell’operazione Jonny.

Entrando nel cuore del territorio isolitano furono svelate le nuove alleanze, i nuovi equilibri che si erano venuti a creare o che si stavano creando, ma soprattutto le nuove tensioni che, dopo i numerosi arresti operati, stavano emergendo, dettate dalla volontà di imporre il proprio potere e controllo su Isola. In particolare affiorarono due fronti contrapposti, da un lato i Capicchiano, con a capo Salvatore Capicchiano, desiderosi di affermare il loro monopolio nella gestione del lucroso settore delle gioco illegale mediante l’imposizione e la gestione delle loro slot machine in diversi bar ed esercizi commerciali, dall’altro i Nicoscia, con al vertice Antonio Nicoscia, figlio di Pasquale alias Macchietta, i Manfredi e i Gentile non concordi su tale esclusività e sulla ascesa totalizzante e non condivisa dei Capicchiano. La conseguenza di questi attriti fu un’escalation di violenza che portò entrambe le parti contrapposte, in diverse occasioni, alla pianificazione di omicidi ai danni della fazione opposta.

Proprio la progettazione di quei gravissimi reati portò all’accelerazione dell’indagine con l’adozione del provvedimento di fermo e al conseguente arresto nei confronti degli indagati. L’indagine consentì, tuttavia, anche di documentare i rapporti con le diverse famiglie di ‘ndrangheta e in particolare con la cosca Megna di Papanice e con le cosche del petilino. In particolare, fu documentata l’estorsione ai danni di un noto locale sito a Le Castella, nonché la celebrazione di diversi riti di affiliazione, finalizzati al rafforzamento delle file della cosca, che vide a partecipazione o il “portare in copiata” secondo precisi rituali, i vertici delle cosche del crotonese, tra cui i Megna, di Isola Capo Rizzuto e del petilino.

Proprio l’estorsione e la celebrazione dei riti furono contestate al tempo a Devona da parte della Procura Distrettuale, il quale, dopo il suo arresto fu scarcerato a seguito della decisione del Riesame.
La Procura Distrettuale aveva presentato ricorso per Cassazione, contro la decisione del Tribunale del Riesame, che era stato accolto rinviando a un nuovo esame.

Ieri è stata depositata la nuova decisione del Tribunale del Riesame che ha ripristinato la misura cautelare emessa a dicembre nei confronti di Devona riconoscendo la gravità indiziaria degli elementi acquisiti nel corso dell’indagine svolta dalla Procura Distrettuale e dalla Polizia di Stato per l’ipotesi di reato di associazione di tipo mafioso.

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