Nei primi cento giorni di governo della Regione il centrosinistra calabrese ha litigato, ha trattato e ha rischiato di implodere per una “leggina” sui portaborse. Le intercettazioni dell'inchiesta “Passepartout”, coordinata dalla procura di Catanzaro, svelano che Nicola Adamo, ritenuto il vero dominus della coalizione, era arrivato a chiedere le dimissioni dell'allora presidente del Consiglio regionale Antonio Scalzo accusato di «non avere il coraggio» di esporsi e mettere mano alla situazione. Il problema che tanto sembrava attanagliare i massimi esponenti della maggioranza era legato a una nota del segretario generale del Consiglio regionale, Carlo Calabrò che aveva fissato dei paletti nella nomina dei collaboratori esterni nelle strutture dei consiglieri regionali. Nella missiva inviata ai neo eletti si disponeva che «ai collaboratori degli organismi politico-istituzionali, che svolgono funzioni analoghe a quelle dei collaboratori esperti, è richiesto il possesso di competenze, professionalità e titoli di studio adeguati allo svolgimento delle attività loro affidate nell'ambito istituzionale (pareri, attività di studio e consulenza, redazione progetti di legge)». Pertanto la scelta del “portaborse” non poteva più avvenire sulla base della sola “fedeltà”, bensì su competenze e requisiti legittimamente dimostrabili, quali la laurea. Appena informato della nota è Nicola Adamo a sollecitare il capogruppo del Pd Seby Romeo. Quest'ultimo spiega che i requisiti posti da Calabrò poggiano sui rilievi che erano stati fatti dal Ministero dell'Economia e dalla Corte dei Conti, ma comunque rassicura Adamo: «Ne stiamo uscendo con l'aiuto dei revisori dei conti... lunedì è definita, la stiamo aggiustando con una bella nota dei revisori non ti preoccupare». L'ottimismo di Romeo però non trova riscontro pratico. L'articolo completo nell'edizione odierna della Gazzetta del Sud.