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'Ndrangheta, il pentito Lo Giudice: "L'avvocato De Stefano era il burattinaio della cosca di Reggio"

Giorgio De Stefano

L’avvocato Giorgio De Stefano, già condannato a venti anni di reclusione con rito abbreviato nel processo 'Ghota', era il «burattinaio» della 'ndrangheta a Reggio Calabria.

A dirlo è stato Nino Lo Giudice, uno dei collaboratori di giustizia più importanti della storia della criminalità organizzata calabrese, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel processo «'Ndrangheta stragista» nel quale sono imputati il boss di Melicucco Rocco Filippone, e quello di cosa nostra Giuseppe Graviano, capo mandamento di Brancaccio, per gli attentati ai carabinieri in Calabria dei primi anni '90 che, secondo l’accusa, rientravano nella strategia di attacco allo Stato decisa da Totò Riina.

L’avvocato De Stefano, cugino del capo storico della cosca Paolo, ucciso nel 1985 nella guerra di mafia, ma lontano dall’ala militare e ritenuto capace di elaborare alleanze e strategie individuando le attività più lucrose, nel processo Ghota è stato condannato perché ritenuto componente di quella struttura segreta, composta dagli «invisibili», legata alla massoneria che si poneva al vertice della piramide 'ndranghetista, dettava le linee strategiche alle cosche, interagiva sistematicamente e riservatamente con politica, istituzioni e mondo imprenditoriale, e condizionava le elezioni, dalle comunali alle Europee, nella provincia di Reggio Calabria.

Il collaboratore di giustizia ha detto di avere saputo dal defunto padre, Giuseppe, assassinato ad Aprilia negli anni '90, dell’appartenenza dell’avvocato De Stefano alla Loggia massonica P2, definendolo «il vero burattinaio della cosca, quello che comandava realmente, decidendo di far partecipare Giuseppe De Stefano, capo dell’omonima cosca, alla riunione del 1991, nel corso della quale si discusse di stragi di mafia. Prima di andare a quella riunione, Giuseppe De Stefano si consultò con Giorgio. Era lui che decideva la persona che doveva andarci».

Lo Giudice ha ripercorso varie vicende legate agli attentati contro i carabinieri - che costarono la vita agli appuntati Antonino Fava e Giuseppe Garofalo ed il ferimento di altri due militari - ed ha ribadito della sua conoscenza in relazione ai contatti che la 'ndrangheta reggina teneva con Giovanni Aiello, l'ex poliziotto della Squadra mobile di Palermo negli anni '80 morto alcuni anni fa a Montauro e ritenuto coinvolto nelle trame nere degli ultimi decenni.

Lo Giudice, infatti, ha riferito come Aiello mantenesse legami con il boss del quartiere «San Giovannello» Demetrio «Mimmo» Logiudice, con il quale non ha legami di parentela, legato ai capi della cosca De Stefano. Nino Lo Giudice, cugino del pentito Consolato Villani, uno degli esecutori materiali degli attentati ai carabinieri, condannato a 30 anni di reclusione, ha anche riferito di avere ricevuto assicurazioni da parte di un legale circa l'interessamento dell’avvocato De Stefano in Cassazione per «aggiustare» il processo a carico di Villani. Cosa, ha aggiunto, «a cui non credetti mai», poiché pensava che l’avvocato De Stefano non avesse «alcun interesse per salvare Villani».

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