Non può giocare a calcio nel cortile di casa e né alla playstation; tantomeno può andare a prendere un gelato o trascorrere i pomeriggi in piazza. La malattia gli ha tolto tutto. Ma non la dignità o l'affetto di cui è circondato; tanto dalla famiglia quanto da chi ha il piacere di conoscerlo.
Vive tra i suoi affetti che lo accudiscono e lo assistono. Ma, purtroppo, questo non basta. Perché a 13 anni è un diritto andare a scuola. Ma non è così per lui, perché a volte capita che le Istituzioni restino sorde e mute.
Questioni burocratiche, perché a mancare è l'operatore socio sanitario o anche l'assistente alla persona, ma a lui poco importa che i conti tornino, l'esattezza delle date storiche o i limiti geografici. A lui fa bene stare coi suoi compagni, guardare i loro sorrisi quando gli si avvicinano e guardare ciò che succede attorno a lui. Gli stessi compagni che ad ogni occasione chiedono sue notizie e si interrogano sul perché il suo nome sia ancora iscritto sul registro di classe ma risulti puntualmente assente.
Come raccontare loro che dietro c'è un diritto negato? Che qualcuno gli nega l'assistenza scolastica? «È una vergogna» gridano amareggiati i suoi genitori che, dopo due anni di rimpalli, si dicono estremamente stanchi delle vane attese e promesse, pronti piuttosto a denunciare.
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