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I resti di Panaro ritrovati dopo 30 anni

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Il mistero è meno fitto. E il “giallo” parzialmente risolto. I resti di Pompeo Panaro, ritrovati in località “Trifoglio” di Paola nel 1983, sono custoditi all’interno di una cappella del cimitero comunale. Riposti in un loculo senza lapide identificativa individuato, ormai senza ombra di dubbio, dal pm antimafia Pierpaolo Bruni. Le attività investigative svolte nelle ultime settimane avrebbero dato precisi riscontri risolvendo così un enigma durato più di trent’anni. Panaro, commerciante e consigliere comunale della Democrazia cristiana, scomparve la sera del 28 luglio del 1982. Aveva subito il furto dell’auto e, ad orario di chiusura, si presentò al suo negozio un uomo vicino ai clan comunicandogli che la vettura sarebbe stata restituita. Di più. Il malavitoso l’i n v itò ad andare a riprendersela. Scattò così la trappola mortale. Panaro venne ucciso, il suo corpo dato alle fiamme e poi seppellito nelle campagne del Paolano. L’anno dopo, un “confidente” indicò alla polizia dove era stato sotterrato e scattarono le ricerche. Gli scavi compiuti consentirono di ritrovare una parte del corpo della vittima, piccoli pezzi d’indumenti e la chiave d’un magazzino del commerciante. Tutto venne catalogato dagli agenti, diretti all’epoca dal commissario Antonio Cappelli, e consegnato alla magistratura. Nel 1984, il pubblico ministero Luigi Belvedere restituì alla famiglia i resti di Panaro che scomparvero. O meglio: il fratello del commerciante decise di affidarli ad un’agenzia di pompe funebri per farli inumare nel camposanto di Paola. Dove in effetti sono finiti seppur collocati dentro un loculo senza lapide. Di tutta questa fase non c’è però traccia nei registri cimiteriali, mentre negli uffici del comune tirrenico non esiste la certificazione dell’avvenuto seppellimento dell’ex consigliere. Nel 1994, peraltro, la moglie di Panaro ha chiesto e ottenuto dal Tribunale la dichiarazione di «morte presunta» del marito. Oggi, secondo gli accertamenti disposti dal pm Bruni, il decesso di Panaro sarebbe nei registri anagrafici municipali solo «presunto» nonostante il ritrovamento di parte del cadavere e la formale restituzione dei resti ai congiunti avvenuta ventinove anni addietro. Com’è possibile? Difficile, al momento, trovare una risposta. Qualcosa, in questa vicenda, non torna. A portare gl’inquirenti fino al luogo di sepoltura del commerciante è stato il figlio, Paolo, che con le sue denunce ha fatto riaprire le indagini. Intervistato nei mesi scorsi dalla “Gazzetta”, l’uomo aveva pubblicamente rivelato molti retroscena della strana storia dei “resti scomparsi”. La procura distrettuale, diretta da Antonio Vincenzo Lombardo, disporrà nei prossimi giorni un esame comparativo del codice genetico per sciogliere ogni residuo dubbio sull’attribuibilità delle ossa individuate nella cappella. Del caso si stanno occupando gl’investigatori della Mobile, guidati dal commissario capo Antonio Miglietta. Agli “s p ecialisti” della sezione Criminalità organizzata toccherà adesso compiere riscontri anche rispetto alle confessioni sul delitto Panaro rese dall’ex boss di Paola, Giuliano Serpa. L’obiettivo? Smascherare dopo trent’anni mandanti ed esecutori dell’omicidio di Pompeo Panaro. Assicurarli alla giustizia e mandarli sotto processo. Un compito difficile, visto il tempo trascorso, ma non impossibile. Il pm Bruni lo ha affidato a “sbirri” all’a ntica, abituati a non tralasciare dettagli e trascurare indizi. L’unità investigativa è guidata dal sostituto commissario Gentile e dall’ispettore capo Lecoche. L’ex padrino Serpa, scampato miracolosamente ad un agguato nel luglio del 2007 costato invece la vita all’incolpevole operaio forestale Tonino Maiorano, è l’unico a conoscere la verità sull’uccisione di Pompeo Panaro. È molto probabile perciò che possa presto essere risentito.

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