Cemento depotenziato, calcestruzzo dal rapido degrado e opere pubbliche, anche strategiche, fatte male, prive di quegli accorgimenti, spesso costosi, che ne garantiscono la solidità e la durata nel tempo. Quando si tratta di fare soldi e di infiltrarsi nell’economia sana le cosche non si fanno certo scrupoli. Attraverso i suoi tentacoli la ’ndrangheta fa sentire la propria presenza sui territori e impone la sua perversa legge inserendosi negli appalti più succulenti delle opere pubbliche: lo fa non solo, e ormai non più tanto, cercando di vincere le gare (spesso attraverso dei prestanome) ma soprattutto occupandosi della distribuzione dei subappalti a ditte compiacenti, imponendo manovalanza, guardiania e forniture. Così facendo ricicla denaro, realizza introiti, controlla il territorio e contribuisce a realizzare gallerie e strade che rischiano di sbriciolarsi dopo pochi anni.
A due settimane dal disastro di Genova, con il tragico crollo del Ponte Morandi, i riflettori di media, istituzioni e cittadini sono stati puntati sulle centinaia di opere pubbliche lungo l’intero Stivale, in particolare su quelle più ardite e nevralgiche, come ponti e viadotti ma non solo. A far dubitare della tenuta di alcune c’è sì un aspetto influenzato dalla psicosi che segue naturalmente alle grandi tragedie, ma ce n’è anche un altro legato alle condizioni di strutture, tutto sommato giovani, ma invecchiate precocemente e alle potenziali criticità che possono dunque verificarsi. Quando si realizza un’opera pubblica di particolare importanza è lecito attendersi che essa abbia una durata, senza manutenzione straordinaria, dell’ordine del secolo. Ecco perché i crolli e cedimenti di viadotti autostradali, ponti e gallerie avvenuti negli ultimi anni hanno innescato una spirale di sospetto che ha portato a chiedersi quali siano state non solo le tecniche costruttive ma, in particolare, i materiali usati: dunque, chi li abbia forniti e chi li abbia utilizzati; senza trascurare chi li abbia, eventualmente, controllati.
Le inchieste
A tal riguardo le indagini delle Direzioni distrettuali calabresi – così come di altre Procure in tutta Italia – che negli anni hanno interessato le opere pubbliche della regione sono in grado di fornire elementi interessanti. Si pensi all’inchiesta “Bellu lavuru” della Dda di Reggio Calabria, che in due filoni ha documentato le influenze delle cosche (secondo gli inquirenti i Morabito, Bruzzaniti-Palamara, Maisano, Rodà, Vadalà, Talia) negli appalti per l’ammodernamento della Statale 106 con la realizzazione della variante all’abitato di Palizzi, nel Reggino; un appalto del valore complessivo di 84 milioni di euro. Una somma enorme che non ha impedito il verificarsi, nel 2007, del crollo improvviso della galleria di Palizzi, che sarebbe stato causato dall’utilizzo di calcestruzzo di bassa qualità, immesso sul mercato e utilizzato anche in altri lavori pubblici falsificando i controlli. Un punto, questo del calcestruzzo, finito al centro di uno scontro fra perizie durante il dibattimento. Emblematiche, però, le modalità di azione ricostruite dagli inquirenti reggini: infiltrazione diretta mediante un’impresa di famiglia e indiretta con la fornitura di calcestruzzo, movimento terra e gestione delle maestranze.
Ma ulteriori elementi, anche più recenti, emergono dall’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, presentata a luglio al Parlamento, nella quale vengono messi in fila diversi lavori che sarebbero stati influenzati dalle cosche. In particolare, nel territorio di Locri si è fatta luce sull’infiltrazione negli appalti per la realizzazione del nuovo palazzo di giustizia e di alcuni istituti scolastici. Guardando poi alle infrastrutture, la Dia ha messo nero su bianco che sarebbero risultati, altresì, “inquinati” i lavori della linea ferroviaria “Sibari–Melito Porto Salvo” nella tratta tra Condofuri e Monasterace, per un valore complessivo di 500.000 euro. Le mani delle cosche si sarebbero allungate anche sulla costruzione e adeguamento della ex Statale 112 Dir. Strada di grande comunicazione Bovalino-Platì-Zillastro-Bagnara, appaltata nel 2008 dalla Provincia di Reggio Calabria. Quali sono, ad oggi, le garanzie sulla qualità di tali lavori?
Diverse poi sono le inchieste in altre parti d’Italia che aprono squarci inquietanti sulle opere infrastrutturali realizzate negli ultimi anni. L’inchiesta “Amalgama” avviata nel 2016 dalla Procura di Genova racconta delle potenziali criticità su linee ad alta velocità e su un macro lotto della autostrada Salerno-Reggio, prospettando legami di alcuni indagati con ambienti della criminalità organizzata.
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