Le mani della ‘ndrangheta si sono allungate sui biglietti della Juventus da tempo. Almeno dieci anni. E forse di più. È parola di Marcello Tatangelo, sostituto procuratore generale in Piemonte, che sta impersonando la pubblica accusa al processo d’appello dell’inchiesta Alto Piemonte sulle infiltrazioni delle cosche nel Nord-Ovest.
Il magistrato ha chiesto quattordici condanne - la più alta delle quali a 15 anni e 6 mesi di carcere - per un campionario di reati che vanno dall’associazione di stampo mafioso alle armi e alle richieste di «pizzo». Ma un capitolo delle sue 470 pagine di requisitoria riguarda i rapporti fra i boss e il mondo della tifoseria bianconera. Qui è chiamato a rispondere Rocco Dominello, che gli inquirenti definiscono, insieme al padre Saverio, esponente della cosca Pesce-Bellocco di Rosarno. Per lui il pg ha proposto la conferma dei 7 anni e 9 mesi inflitti al termine del processo di primo grado. Poi c’è una novità: per l’ex capo ultrà Fabio Germani, che era stato assolto, sono stati chiesti 4 anni e mezzo.
Tatangelo ricostruisce una storia che, secondo il racconto di un pentito alla Guardia di Finanza, comincia nel 2003, quando esponenti delle famiglie Ursino e Cataldo di Locri si incontrano per discutere della spartizione della torta: «Introiti di circa 15 mila euro alla settimana». Nel 2012, dopo la valanga di arresti dell’operazione Minotauro, nella ‘ndrangheta piemontese si crea un «vuoto di potere» e i Dominello ne approfittano. Con una differenza. In passato, spiega il pg, l’interesse dei boss “si concretizzava con interazioni dirette con gruppi di ultras destinatari di biglietti da rivendere». Nel nuovo corso, Rocco Dominello riesce a diventare un capo ultrà e, in questa veste, arriva a «trattare direttamente con la Juventus spa».
Non ci sono tesserati della società bianconera coinvolti nel processo penale. Andrea Agnelli fu convocato a deporre come testimone in primo grado e spiegò di avere incontrato Dominello, così come incontrava gli altri esponenti della tifoseria, senza sapere che era imparentato con un presunto boss. Nessun reato, ma un problema con la giustizia sportiva risolto, alla fine, con una multa da 100 mila euro (600 mila per il club).
Le carte di Alto Piemonte ritraggono una Juventus che non ha il controllo degli avvenimenti.