La sanità, la più grande azienda calabrese. Un contenitore che eroga servizi, dà lavoro a migliaia di persone, fa girare “fiumi” di denaro e inevitabilmente calamita gli interessi delle ’ndrine. Casi di corruzione, tangenti, pressioni, minacce, intimidazioni riempiono i faldoni delle Direzioni distrettuali antimafia di Catanzaro e Reggio. Commistioni e rapporti spesso borderline dei quali si è occupata anche la Commissione parlamentare antimafia, che nella propria relazione di fine mandato tira le somme anche su questo specifico settore.
La "fotografia" della situazione rende l’idea di quanto lo scenario sia delicato: gli appetiti della criminalità si snodano fra la «gestione di ingenti risorse economiche», il rapporto «con professionisti compiacenti» e i legami con «l’apparato statale e della politica». Da parte sua, sottolinea la Commissione bicamerale, «il sistema sanitario non sempre ha saputo mettere in atto azioni di prevenzione e gestione dei rischi, e non solo nei territori storicamente condizionati dalla presenza di organizzazioni mafiose». La relazione affonda il coltello sulle cause: «Disordine amministrativo, mancanza di atti regolamentari, instabilità dei vertici, assenza di meritocrazia, abnorme contenzioso legale, bassa qualificazione professionale, dimensione dei debiti fuori bilancio sono tutti fenomeni che possono essere considerati indicatori di inefficienza e al contempo di grave rischio di infiltrazioni criminali. Sotto questo profilo, maggiore attenzione dovrebbe essere riservata nella politica del piani di rientro alle connessioni fra disavanzi di bilancio e criminalità organizzata». Mentre la politica pensa a incarichi e poltrone, è proprio il caso di dire che il “malato” muore. Perché il passaggio forse più significativo della relazione è quello su manager e primari: «L’ingerenza della criminalità nel personale della sanità riguarda anche i vertici delle aziende, ovvero gli incarichi conferiti dagli organi politici, gli incarichi apicali di natura strettamente fiduciaria e i responsabili di strutture complesse e semplici. Il loro ricambio frequente non aiuta a portare a termine le azioni individuate di rientro nella legalità». D’altronde, prosegue la Commissione antimafia, «il livello di integrità del personale che opera nella sanità è elemento fondamentale per contrastare i rischi di condizionamento». Proprio per questo «i clan considerano il personale un importante “punto di attacco” del sistema, attraverso il quale possono precostituirsi la disponibilità di figure “di fiducia” in grado di fornire informazioni, coperture e accomodamenti».
Ulteriore elemento di debolezza del sistema è «la tendenza ad avvalersi di fornitori esterni per la gran parte del servizi accessori». I meccanismi illeciti sono sempre più o meno gli stessi: bandi e capitolati formulati su misura e con il contributo del fornitore designato, nomina di commissioni tecniche compiacenti, attestazione di indispensabile per un servizio che in effetti non lo è, abuso di proroghe e rinnovi, inadeguati controlli sul rispetto dei contratti.
Ironica, ma non troppo, la conclusione: «Così come avviene per i piani di rientro dal disavanzo, sarebbe opportuno introdurre i piani di rientro nella legalità»
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