I riti e i simbolismi. Usati dalla ’ndrangheta per rendere “sacre” le affiliazioni e intangibili le gerarchie. Un “trucco” usato da quasi un secolo per far credere agli adepti di far parte di una sorta di “setta” capace di assicurare protezione agli associati e amministrare giustizia privata per risolvere le controversie afferenti il mondo “profano”. La simbologia ed i rituali della mafia calabrese sono contenuti nei cosiddetti “codici” più volte ritrovati e sequestrati – il primo alla fine dell’Ottocento a Seminara – dalle forze dell’ordine. Leggendo i testi – l’ultimo “manuale” è stato individuato nel Paolano nella primavera del 2000 – sembra di ritrovarsi di fronte al copione di una scalcinata commedia. Gli ’ndranghetisti non hanno grande cultura. Hanno studiato poco, scrivono male e tramandano per via orale i loro rituali. Solo qualcuno ha l’incarico di trascrivere le parole dei “saggi compagni”.
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