I misteri del passato. Esiste in Calabria una realtà storico archeologica di incredibile valore. Si tratta di strutture in pietra, parzialmente sconosciute, che testimoniano la presenza di civiltà preistoriche e protostoriche in diverse aree della regione. Un esempio? I siti di Nardodipace, piccolo centro posto alle falde delle serre vibonesi, Roghudi, il Golfo di Policastro, Frascineto, i colli del Savuto e Campana. Di cosa si tratti è emerso con evidenza all'inizio degli anni 2000 quando sorse improvvisamente interesse su due strutture con una serie di massi, collocate stratificamente in località Palella e Ladi di Nardodipace. Si parlò d’una nuova “Stonehenge” e giunsero nella zona studiosi di diverso livello oltre a migliaia di curiosi e qualche ciarlatano.
La sorpresa per la scoperta e il rumore mediatico suscitato non diedero tuttavia i risultati sperati nel senso che mancò alla base una scelta di carattere scientifico e un conseguente interesse accademico sul sito perché si registrarono subito analisi sbagliate e un certo dilettantismo tra quanti operarono in quel contesto e in quelle convulse settimane. Si andò alla ricerca di tesori, si cominciò a pensare alla individuazione di stanze sotterranee, si chiese alla Soprintendenza d'intervenire con competenze specifiche per individuare attraverso i radar questi spazi nascosti nel sottosuolo. Non si riuscì, invece, a capire che il “tesoro” era sotto gli occhi di tutti e distribuito sulla superficie di quelle due amene località.
Già, perché la cosa veramente preziosa del sito oltre alle unità principali (i quattro cubi sovrapposti e la grande figura materna notabile ad occhio nudo, tipo “Venere di Willendorf”) sono le forme che vi ruotano attorno e appaiono sparsamente ordinate disegnando figure zoomorfe ispirate alla apparizione degli dei. Non trovati i tesori e le stanze sotterranee l’interesse sul sito di Nardodipace scemò e, contestualmente, la esilarante “caccia al tesoro” indusse il mondo scientifico di riferimento ad allontanarsi ed a disconoscere quelle realtà archeologiche, che sembravano esser divenute il set di un film di Indiana Jones. Dopo anni di abbandono, Vincenzo Nadile, studioso e appassionato di archeologia preistorica, ha ripreso il lavoro di analisi riportando lo Stato sul territorio e, relazionandosi con la Soprintendenza (rappresentata da Alfredo Ruga), è riuscito a dimostrare l’antropicità di quelle fatture.
L'articolo completo nell'edizione in edicola oggi della Gazzetta del Sud.
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