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Fincalabra, condannato De Rose

Fincalabra, condannato De Rose

Un anno e otto mesi di reclusione. È questa la condanna inflitta all’ex presidente di Fincalabra, Umberto De Rose, accusato di abuso d’ufficio relativamente ad alcuni incarichi effettuate dall’ente in house.

I giudici del Tribunale collegiale (presidente Tiziana Macrì, a latere Giacinta Santaniello e Paolo Mariotti), dopo tre ore di camera di consiglio, hanno concesso a De Rose le attenuanti generiche (partendo quindi da una pena base molto più alta) nonostante il pubblico ministero, Domenico Assumma, al termine della requisitoria, avesse chiesto la condanna a un anno e sei mesi di reclusione senza tenere conto delle attenuanti generiche. Di tutt’altro avviso i difensori di De Rose, gli avvocati Gregorio Viscomi e Franco Sammarco, che avevano chiesto l’assoluzione del loro assistito. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro novanta giorni.

De Rose era stato rinviato a giudizio nel luglio 2015 dal gup Assunta Maiore che invece aveva deciso il non luogo a procedere per gli altri tre indagati che avevano scelto di seguire la normale udienza preliminare: Leonardo Molinari, Giuseppe Lelio Petronio, Flavio Alfredo Talarico. Assolti con la formula perché il fatto non sussiste i quattro indagati che avevano optato per il rito abbreviato: Umberto Idone, Sergio Campone, Vincenzo Ruberto e Giuseppe Frisini. Agli indagati - tutti componenti del Consiglio d’amministrazione dell’ente e della commissione esaminatrice - la Procura contestava l’abuso d’ufficio relativamente ad alcuni incarichi effettuati dall’ente in house. Per l’ex presidente di Fincalabra erano già cadute le accuse di minaccia nei confronti di una dirigente regionale e di abuso d’ufficio rispetto all’incarico affidato ad Andrea Gentile, figlio del senatore Antonio. Nel processo davanti al Tribunale collegiale De Rose ha risposto dei contratti di collaborazione riguardanti Lori Gentile, altra figlia del parlamentare, e altre due persone, Paola Ambrosio e Giuseppe Genise.

L’inchiesta partì dalla denuncia di Aurelio Chizzoniti, presidente della commissione di vigilanza del Consiglio regionale della Calabria, che con un esposto chiese alla Procura di Catanzaro di svolgere opportune verifiche presso Fincalabra, ritenendo di aver riscontrato alcune irregolarità nell’assegnazione di incarichi, come ad esempio esclusioni sospette di candidati laureati con il massimo dei voti.

Secondo l’iniziale ipotesi accusatoria, per affidare i contratti, sarebbero stati modificati i termini del bando regionale iniziale, stralciando dai requisiti quello della necessaria e pregressa esperienza di 3 o 5 anni a seconda della figura da impiegare.

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