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La ’ndrangheta si fa pagare l’“aiuto” elettorale

La ’ndrangheta si fa pagare l’“aiuto” elettorale

Il nuovo pentito che sta collaborando con i magistrati della Dda di Reggio Calabria si chiama Giuseppe Dimasi, ha 29 anni, e sta facendo luce sulla ’ndrangheta di Laureana di Borrello (che dipende direttamente dalla locale di Rosarno) che ha ramificazioni anche in Lombardia. Dimasi ha saltato il fosso e ha deciso di collaborare con la giustizia dopo essere stato coinvolto nell'inchiesta "Lex", con cui la Dda di Reggio Calabria ha disarticolato le cosche di Laureana di Borrello. E l’avrebbe fatto per costruirsi una vita nuova con la sua compagna, lontana anni luce dagli schemi criminali della ’ndrangheta che hanno avvelenato gli ultimi anni della sua esistenza.

Rapporto fiduciario

Giuseppe Dimasi, pur dichiarando di non aver mai ricevuto un’affiliazione formale alla 'ndrangheta («è vero – dichiara alla pm antimafia Giulia Pantano – che non ero un affiliato formale ma io, nei fatti, ero dentro la ’ndrangheta perché Marco mi considerava un “suo uomo” nel campo imprenditoriale»), conferma quanto già sospettato dagli inquirenti sul suo conto: il rapporto fiduciario, soprattutto sotto il profilo economico e imprenditoriale, con Marco Ferrentino capo dell’omonima cosca, egemone a Laureana di Borrello. Dimasi, residente da tempo a Voghera, ha riferito proprio sugli affari delle cosche Chindamo e Ferrentino su quel territorio: il giovane, infatti, sarebbe stato un uomo a disposizione delle famiglie di Laureana di Borrello, con il compito di gestire gli affari in Lombardia in prima persona nell’interesse della cosca.

Oltre la Santa

Marco Ferrentino è, secondo il “pentito”, un pezzo grosso della ’ndrangheta della Piana. «Ha una dote superiore alla Santa. Rappresento che Marco Ferrentino non poteva riferirmi di doti superiori alla sua perché non le conosce neppure lui», dichiara il collaboratore di giustizia. Un altro tassello, dunque, che si aggiunge all’inquietante ipotesi dell’esistenza di un livello superiore e segreto della ’ndrangheta. Quegli “invisibili” che si muovono con destrezza in quella dimensione di ’ndrangheta, massoneria deviata e servizi occulti che condiziona la vita democratica del Paese “infettando” la politica, le consultazioni politiche e amministrative e gli eletti nelle istituzioni.

Casa per casa

È ormai cosa nota la sviscerata passione che nutre la ’ndrangheta nei confronti della politica. A tutti i livelli. E non lascia spazio a nessuno: bisogna indirizzare il consenso verso i propri candidati per acquisire sempre più quote di potere e di affari. Racconta Dimasi agli inquirenti reggini: «Ricordo che nell’anno delle votazioni comunali Marco Ferrentino e Digiglio giravano casa per casa dicendo alle persone per chi votare». Ma non si limitavano a farlo nel “feudo” di Laureana di Borrello, contagiavano anche le zone limitrofe che ritenevano fossero di loro competenza. Ancora Dimasi: «Stessa cosa facevano nei comuni di Serrata, Candidoni e Galatro. Rappresento che Galatro, criminalmente, “dipende” da Laureana di Borrello. So che a Galatro ci sono i Panetta come famiglia mafiosa che però “rispondono” ai Chindamo-Ferrentino». Il controllo assoluto del territorio, dunque, anche attraverso il controllo dell’urna. E se questa è la drammatica realtà che si vive in piccoli centri della Piana diventa facile e drammatico allo stesso tempo immaginare cosa possano fare i Piromalli a Gioia Tauro o i De Stefano a Reggio Calabria...

Voti a pagamento

Nessuna novità scovolgente, ma la conferma – qualora che ce ne fosse ancora bisogno – che la ’ndrangheta non lascia nulla al caso. Ma programma e si muove in largo anticipo. Ancora le parole di Dimasi: «Ricordo che durante la campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale di Candidoni, andavo con Marco (Ferrentino) e Tonino Digiglio a chidere voti. In realtà, io fungevo da “accompagnatore” ma a loro interessava l’elezione di qualcuno, di cui non ricordo il nominativo, per cui si spendevano. Dall’elezione del politico che interessava, la cosca “guadagnava” in termini di lavoro legato agli appalti pubblici. Marco Ferrentino una volta mi disse che la cosca si faceva pagare i voti. Anzi ricordo la frase “chiedo i soldi per i voti. Ma alla fine poi io li sposto su chi voglio”. E in quella circostanza Marco mi spiegava come gestiva le elezioni lui in Calabria».

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