Due buchi: allo zigomo destro e al collo. Proiettili mortali per Gregorio Mezzatesta, come quelli che uccisero Francesco Pagliuso a Lamezia un anno fa. Tre buchi allo zigomo sinistro e uno sotto il mento. Questo direbbero le autopsie. «Stessa mano», avrebbe gridato al commissario Montalbano il burbero dottor Pasquano (morto anche lui ma di vecchiaia). Così partirebbe il nuovo romanzo criminale "Vendetta di sangue" per ricostruire quant'è accaduto negli ultimi anni tra le tranquille montagne del Reventino, Lamezia Terme da sempre regno dei clan, e l'oasi felice di Catanzaro.
Maledetta strada
Bisogna partire da una cosa che non esiste. Quella "Strada che non c'è" di cui solo cinque giorni fa è stato aperto il primo piccolo tratto di 5 chilometri tra Decollatura e Soveria Mannelli. Prima che arrivassero i lavori per la strada Medio Savuto su quelle montagne non si batteva un chiodo. Calma piatta. I carabinieri erano quasi in vacanza. La guerra è partita all'inizio del 2013 quando ci fu un regolamento di conti in un bar a Decollatura: Francesco Iannazzo e Giovanni Vescio uccisi da Domenico e Giovanni Mezzatesta, padre e figlio. Con la loro piccola impresa a Decollatura i Mezzatesta erano riusciti a prendere in subappalto alcuni lavori per la "Strada che non c'è". Ma loro dicono d'essere stati disturbati dai lametini prima con una bomba, poi con il "pizzo". E finita con un duplice omicidio e la galera per i due assassini.
Omicidio eccellente
Il secondo capitolo del romanzo si apre con l'entrata in scena di Pagliuso, avvocato penalista quarantenne ma già impegnatissimo in processi di 'ndrangheta in mezza Italia. Aveva quel guizzo che altri non hanno. Era amico dei Mezzatesta, li conosceva da sempre. Li ha difesi strenuamente, fino a fargli ottenere in Cassazione l'annullamento degli ergastoli a padre e figlio. Che se la caveranno con una ventina d'anni ciascuno. Chi invece non ce l'ha fatta è l'avvocato, ucciso due mesi dopo quella sentenza che l'aveva fatto esultare come professionista ma anche come amico degli imputati. "Mi permetta di dirle che è stato un successo, la prego di scriverlo sul suo giornale, credo di meritarlo", mi disse gasatissimo al telefono quella sera, appena uscito dal Palazzaccio romano di Piazza Cavour. Poi l'omicidio sotto casa di Pagliuso. La sera del 9 agosto dell'anno scorso. "Stessa mano". Ma prima ce ne sono stati altri: a giugno 2014 Daniele Scalise muore a colpi di Kalashnikov mentre lavorava in un cantiere a Soveria con la sua ruspa. Stava proprio davanti alla casa natia di Pagliuso, dove vivono ancora i genitori. Un caso o un avvertimento? Un altro delitto è arrivato sei mesi dopo a Decollatura, Domenico Aiello ucciso a colpi di fucile, anche lui con la ruspa. Tutti impegnati nel movimento terra per la maledetta superstrada.
Scalise aveva 30 anni e un curriculum di tutto riguardo. Suo padre Pino condannato nel processo "Perseo" al clan Giampà di Lamezia. Tutti e due imputati di estorsione. Daniele era stato preso dalla polizia dopo mesi di latitanza. A difenderlo per diverso tempo era stato l'avvocato Pagliuso. Quando la polizia lo bloccò nel suo portafoglio trovò la foto di Giovanni Vescio, il ragazzo ucciso nel bar di Decollatura dai Mezzatesta. Quello che avrebbe tentato d'imporre la mazzetta.
Vendetta di sangue
La questione sta proprio in quel duplice omicidio. Consumato a Decollatura nel bar di Luciano Scalise, fratello di Daniele. Era stato ucciso un giovane Iannazzo, il clan di Lamezia Ovest decapitato con l'operazione "Andromeda" e la condanna per associazione mafiosa del boss Vincenzino "il Moretto" e di altri sette familiari con lo stesso cognome. Non si uccide un Iannazzo senza che sia vendicato. La "gente di rispetto" pensa così, scriverebbe Giuseppe Fava. E non basta che i due assassini, Mezzatesta padre e figlio, siano rinchiusi in galera. La vendetta pretende sangue. E Pagliuso ha sbagliato a difenderli. Ed a prendere nel suo studio legale anche una figlia di Gregorio Mezzatesta.
Tutto da solo
Il killer di Gregorio Mezzatesta si chiama Marco Gallo. Così lo hanno definito i carabinieri che sostengono: ha fatto tutto da solo. L'hanno preso una settimana fa. Gallo ha 32 anni, è un tecnico di Lamezia ma abita a Falerna, ha un’azienda d’impiantistica edile, fedina penale immacolata, passione per il tiro a segno e le moto. Gallo conosce le abitudini della sua vittima. La mattina del 24 giugno lo aggancia a Tiriolo mentre viaggia in macchina con un collega. Il killer è su una motocross Bmw. Casco nero integrale, giubbino in pelle nera, jeans, nike bianche, pistola in tasca. Insegue Mezzatesta fino a Catanzaro, l’arrivo è in Via Milano alle 7.37. Con video. Compie la sua missione di sangue e scappa. Ma mentre fa un percorso alternativo tra le montagne la moto va in panne. Un imprevisto che compromette il piano del professionista, costretto a continuare la sua mission a piedi, senza casco. Nelle foto degli inquirenti c’è un tizio che corrisponde alla sua età ed ha la chierica. Il killer arriva in Via Indipendenza, a Lamezia, dove c'è un suo garage. A a pochi metri vive la famiglia Pagliuso, moglie e figlioletta. Lui monta sulla sua Bmw wagon attrezzata di carrellino e recupera la moto.
La difesa
A difendere il killer presunto gli avvocati Teresa Bilotta e Antonello Mancuso. Quest'ultimo è di Soveria Mannelli, amico di Francesco Pagliuso. Gallo non parla davanti al magistrato. Resta in galera. Le prime avvisaglie sulla linea difensiva sono: il motociclista non è riconoscibile, nè col casco nè senza; la moto non è sua, neanche quella carica sul carrellino. Terzo: i carabinieri hanno perquisito nove locali e non hanno trovato pistola, casco, giubbino, Nike e moto nera.
La pistola, quella sì è diversa. Pagliuso è stato ucciso con un revolver a Lamezia, Gregorio Mezzatesta dieci mesi dopo con una calibro 9x21 a Catanzaro. Ma uguali le modalità: il killer s'è avvicinato al finestrino dell'auto, quella di Pagliuso era un Suv l'altra una Picasso, ed ha sparato in faccia. A bruciapelo. Senza sbagliare. Preciso e glaciale. "Stessa mano". Forse