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La trasfusione dopo sette ore, tragedia sfiorata

La trasfusione dopo sette ore, tragedia sfiorata

Entra in ospedale intorno alle 8 dopo una notte tremenda passata a lottare con copiose perdite di sangue, ma soltanto dopo sette ore i medici riescono a sottoporla a una trasfusione salva-vita. È successo al Policlinico Mater Domini, dove una donna catanzarese è stata trattenuta in vita davvero per il rotto della cuffia.

Una storia finita bene che, però, poteva trasformarsi in tragedia. L’inghippo non sta nelle capacità professionali dei medici, ma si trova a monte: al Policlinico non ci sono né un centro trasfusionale né un’emoteca per la pronta disponibilità di sacche di sangue per eventuali urgenze relative ai pazienti ricoverati. E il sangue deve arrivare dal Pugliese, con tutto ciò che ne consegue come accaduto lunedì 26 giugno.

A raccontare i passaggi della vicenda è il senatore Pietro Aiello, primo firmatario (hanno aderito altri 21 parlamentari) di un’interrogazione al ministro della Salute: «Lo scorso 26 giugno, alle 8, una paziente, dopo una notte trascorsa con perdite ematiche copiose a causa di un fibroma uterino emorragico, ha chiesto di essere condotta al Policlinico universitario per verificare le proprie condizioni di salute con un emocromo; i medici hanno prontamente rilevato il valore di emoglobina pari a 7, pertanto ne hanno disposto il ricovero prevedendo di sottoporla a trasfusione con la massima urgenza e programmando un intervento di isterectomia totale». E qui casca l’asino: «Al momento della decisione – incalza il senatore di Ap-Ncd – si apprende che al Policlinico (hub regionale) non c’è un centro trasfusionale e nemmeno una emoteca per la pronta disponibilità di sacche di sangue per urgenze relative ai pazienti ricoverati. Le sacche di sangue vengono quindi richieste dai medici del reparto di chirurgia generale (dove la paziente era stata ricoverata) all’ospedale Pugliese, dov’è allocato un centro trasfusionale, e giungono al Policlinico universitario soltanto alle 13.40, ossia dopo oltre cinque ore, e successivamente trasfuse (dopo il necessario riscaldamento delle stesse) alle 15 circa. Nel frattempo – prosegue Aiello – le condizioni della paziente si aggravano a causa dell’emorragia in atto, a tal punto che il livello di emoglobina scende addirittura a 4, condizione sostanzialmente incompatibile con la vita. Praticamente la paziente, a causa del ritardo nella trasfusione, cade in shock ipovolemico; a questo punto gli anestesisti, nonostante le condizioni generali critiche, decidono di operare d’urgenza di isterectomia per tentare comunque di arrestare l’emorragia in atto; il direttore dell’unità di chirurgia generale sottopone la paziente ad isterectomia totale. L’intervento si conclude con successo». È stato tuttavia necessario attendere che passassero 48 ore perché la paziente risultasse fuori pericolo di vita.

Fin qui i fatti. Segue l’aspetto più “politico” della vicenda, sfociata in una serie di richieste formalizzate dai 22 senatori al ministro Lorenzin. Innanzitutto si chiede perché «al Policlinico universitario, struttura di rilievo regionale, non è attivo un centro trasfusionale o, quantomeno, un servizio trasfusionale di pronta disponibilità». E ancora: «Quali presidi sono garantiti perché il sangue richiesto con urgenza pervenga al Policlinico universitario in tempi adeguati a salvaguardare la salute dei pazienti ricoverati? Quali iniziative si intende assumere per scongiurare che si verifichino in futuro simili gravissime disfunzioni?». Sollecitati, infine, «un’attività ispettiva per verificare la veridicità dei fatti e constatare le reali necessità di riorganizzazione delle prestazioni nell’intero territorio regionale calabrese» e un confronto a tutto campo con le Regioni «affinché, nel processo di riorganizzazione del servizio sanitario nazionale, ciascuna possa quantomeno offrire, nel proprio territorio, l’ubicazione di più centri trasfusionali e/o emoteche, in modo da garantire le prestazioni sanitarie necessarie in tempi rapidi». In questo contesto sarebbe da prendere in considerazione, secondo gli interpellanti, la collocazione di centri trasfusionali o emoteche nel le zone montane o difficilmente raggiungibili, «in modo da non svilire il diritto alla salute dei cittadini che abitano in zone svantaggiate e garantire, in tal modo, i medesimi livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale».(g.l.r.)

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