Fare tabula rasa dei vertici del Pd calabrese dopo le continue, pesanti sconfitte elettorali. Matteo Renzi, secondo i democrat bene informati, ci starebbe pensando.
Lo strumento c’è - la prevista stagione congressuale d’autunno - ed è in linea con lo stile primigenio del rottamatore. Quanto alle motivazioni del ventilato azzeramento della classe dirigente più ”indigesta”, il malcontento dei circoli (quelli di Catanzaro in primis) offre un solido appiglio. Da questa eventuale decapitazione politica si salverebbero in pochi, tra i quali sicuramente il presidente del Consiglio regionale, Nicola Irto. Sintomatica la sua quasi certa riconferma alla guida di Palazzo Campanella in occasione del rinnovo dell’Ufficio di presidenza che tanto sta angustiando alcuni consiglieri. Un palazzo, la sede dell’assemblea regionale, che fa da contraltare ai municipi, dove pure tira aria di tempesta perfetta. Al Comune di Reggio, per fare un esempio, è al timone Giuseppe Falcomatà che a Roma in occasione della direzione nazionale del Partito non ha risparmiato critiche alla gestione del segretario nazionale Matteo Renzi. Sarà vero strappo? Bastano poche esternazioni a spezzare un’alleanza?
«L’analisi politica non è necessariamente un atto di accusa per la dirigenza del partito», ha osservato ieri restando sulle generali Simone Valiante, deputato dem vicino a Michele Emiliano. Il suo commento, benché disancorato dalla realtà calabrese, calza però a pennello su quanto sta avvenendo a queste latitudini. Segno di uno stato d’animo che impone atti e decisioni da prendere, e anche in fretta. «Si sono perdute - commenta Valiante - città significative per il Pd. Serve una riflessione sulla coalizione ma soprattutto una riflessione urgente su come organizzare il Pd sui territori, liberandolo da capetti locali a volte arroganti». Aveva in mente la Calabria? Non lo sapremo mai.
La realtà è sempre più complessa della sua rappresentazione, anche se la rivolta di circoli Pd tra i più importanti della regione apre uno squarcio e fa emergere l’insofferenza nei confronti di una governance che non ha avuto neanche l’umiltà di fare mea culpa rispetto alle batoste “menate” dalle urne. «La débacle elettorale del Pd di Catanzaro, passato dal 10 al 5%, rappresenta il cortocircuito tra la base e il gruppo dirigente che se ne deve andare», avverte Pasquale Squillace nel rassegnare le dimissioni dalla segreteria del circolo Lauria di Catanzaro, uno dei più importanti sodalizi Pd della Calabria.
Squillace, insieme a una gran parte degli iscritti al Circolo, chiede le dimissioni in massa del gruppo dirigente regionale. «Solo così - afferma - torneremo sui nostri passi. La situazione che si è creata è insopportabile ed è responsabilità politica del segretario nazionale Matteo Renzi, il quale continua imperterrito a non ascoltare il grido d’allarme dei territori. Continuando così, sarà travolto non solo lui, ma tutto il Partito democratico». Suo primo bersaglio è il segretario regionale Ernesto Magorno, che è anche commissario provinciale del Partito a Catanzaro.
Di fronte al flop elettorale e alla frantumazione del Partito Democratico, poco rilevano le critiche a Renzi di Falcomatà, sindaco corteggiato sia da Franceschini che dallo stesso Oliverio nonostante le divergenze. E sembra anche riduttivo, se non offensivo, attribuire le sue contestazioni all’avergli Roma preferito, quale componente della segreteria nazionale Pd, la sua assessora Angela Marcianò.
Va da sé che quest’ultima, figura stimata per il rigore professionale, rientra nel novero ristretto dei maggiorenti che supereranno indenni la “decimazione”.
E Sebi Romeo? Resterà capogruppo Pd in Consiglio regionale? Sembra difficile che sia sostituito: si teme che la sua caduta causi un effetto domino dagli sviluppi incontrollabili.
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