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Accoglienza in mano alle 'ndrine, Sacco resta dietro le sbarre

Accoglienza in mano alle 'ndrine, Sacco resta dietro le sbarre

Un uomo di pace. Sì, ma a favore dei clan che prima del suo avvento alla guida del Cara di Isola Capo Rizzuto si combattevano senza pietà per conquistare soldi e soprattutto potere. Una guerra di mafia annacquata dalla pioggia di denari garantita da quell’enorme centro per richiedenti asilo affacciato sull’aeroporto Sant’Anna di Crotone, dove le ’ndrine locali avrebbero fatto letteralmente il bello e il cattivo tempo restituendo ai migranti condizioni di vita disumane. A rimettere in asse quei fragili equilibri criminali ci avrebbe pensato in prima persona Leonardo Sacco, l’ex governatore della Misericordia di Isola finito al centro dell’inchiesta “Jonny” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Le pesantissime accuse che il 15 maggio scorso hanno spedito Sacco dietro le sbarre sono state del resto confermate dal Tribunale della libertà del capoluogo di regione, che ha così respinto l’istanza di scarcerazione avanzata dai difensori di Sacco, gli avvocati Giancarlo Pittelli e Francesco Verri.

Tra le motivazioni del provvedimento spicca proprio quella che attribuisce a Leonardo Sacco il ruolo di “paciere” tra i vari gruppi ’ndranghetistici attivi sul territorio di Isola e dintorni. Su tutti il potente clan Arena, la cosca dominante che col Cara nelle mani della confraternita guidata da Sacco avrebbe fatto affari a sei zeri. Milioni di euro ottenuti praticamente senza far nulla, se non affamare e rendere ancora più penose le condizioni della miriade di migranti stipata nel Centro per richiedenti asilo più grande d’Europa. I fondi per l’accoglienza – questa la ricostruzione del procuratore Nicola Gratteri, dell’aggiunto Vincenzo Luberto e del sostituto Domenico Guarascio – venivano infatti girati a società di ristorazione e altre tipologie di forniture collegate a doppio filo coi clan. Ditte che per anni non avrebbero erogato il servizio secondo i dettami dell’accordo stipulato con le autorità.

E sono proprio i rapporti istituzionali di Sacco uno degli aspetti più inquietanti di tutta l’inchiesta. Il 38enne originario di Cariati, in provincia di Cosenza, era solito intrattenersi con importanti esponenti politici di tutto l’arco costituzionale. Fotografie, telefonate e quant’altro che – almeno alla luce delle contestazioni mosse dalla Dda catanzarese – lasciano trasparire una capacità dissimulatoria di grande rilievo. Segno d’un uomo che si trovava a suo agio con boss e sottosegretari, con professionisti al soldo delle ’ndrine e parlamentari della Repubblica. Un uomo dalle mille relazioni, che s’era pure lanciato nel mondo del pallone: sua fino al 15 maggio scorso era la presidenza della locale squadra di calcio, la Polisportiva Isola Capo Rizzuto, team che ha ben figurato nell’ultimo campionato d’Eccellenza. Una società calcistica adesso nelle mani del giovane sindaco Gianluca Bruno, impegnato a gestire anche quest’altra “grana” in un momento particolarmente complicato per la sua comunità.

Oltre alle ricostruzioni documentali e alle intercettazioni, i magistrati che hanno condotto l’inchiesta “Jonny” si sono avvalsi del contributo di numerosi collaboratori di giustizia. Tutti i pentiti hanno indicato Sacco come punto di mediazione tra le istituzioni e i clan. Attribuendo un ruolo importante nell’enorme raggiro pure a un sacerdote, don Edoardo Scordio, parroco della chiesa di Maria Assunta e soprattutto fondatore della Misericordia a Isola Capo Rizzuto.

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