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Mazzette nel Cara per “chiudere un occhio”

Mazzette nel Cara per “chiudere un occhio”

Fornisco 100 ma fatturo 200: la truffa è classica, forse anche troppo facile quando il sistema è “malato”. E al Cara di Isola Capo Rizzuto gli interessi della potentissima cosca Arena avevano infettato tutto, a partire dalla distribuzione dei pasti che rappresenta il capitolo più triste della gestione illecita dell’accoglienza ricostruita dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro con l’operazione “Jonny”. Un blitz sfociato in 68 fermi con centinaia di capi d’accusa, molti dei quali incrostati nei capannoni del Centro di accoglienza per i richiedenti asilo, diventato secondo gli inquirenti un vero e proprio “bancomat” del clan.

Secondo la Dda Leonardo Sacco, governatore della Misericordi di Isola, Antonio Poerio e Ferdinando Poerio hanno dolosamente e fittiziamente costituito la società “Quadrifoglio snc” (poi “Quadrifoglio srl”), di cui mantenevano il controllo occulto. A sua volta la società si è aggiudicata gli appalti indetti dalla Prefettura di Crotone per la gestione dei servizi, in particolare quello di catering, relativi al funzionamento del centro di accoglienza richiedenti asilo “Sant’Anna” di Isola di Capo Rizzuto, uno dei più grandi d’Europa, affidati - sostiene l’accusa - in subappalto a favore di imprese appositamente costituite dagli Arena e da altre famiglie di ’ndrangheta per spartirsi i fondi destinati all’accoglienza dei migranti. Nello scacchiere avrebbe giocato un ruolo importante anche il parroco di Isola: don Edoardo Scordio sarebbe stato il gestore occulto della Confraternita di Misericordia, mente - secondo gli inquirenti - di un vero e proprio sistema di sfruttamento delle risorse pubbliche destinate all’emergenza profughi; intorno a lui si sarebbero aggregate le capacità criminali della cosca Arena e quelle manageriali di Leonardo Sacco.

Di certo, annotano gli inquirenti, all’interno del Cara c’era personale compiacente che non segnalava l’effettiva presenza dei profughi e che «veniva pagato» in denaro da don Scordio. Il racconto è del collaboratore di giustizia Santo Mirarchi, secondo cui «i pasti, ossia la prestazione dei subfornitori, venivano fatturata fittiziamente sulla scorta delle persone che risultavano presenti presso il campo, tacendo però il fatto che molti di essi, pur risultando presenti, si allontanavano dal campo per poi rincasare in serata non fruendo del servizio mensa».

Fra l’altro, i Carabinieri del Ros sono convinti che don Edoardo avesse complicità tra le forze dell’ordine. Avrebbe «addirittura preteso, da parte di qualche Carabiniere, l’ostensione delle registrazioni per catechizzare i dipendenti e/o i collaboratori della Misericordia che sparlavano di lui». Gli stessi cugini Poerio, parlando con il sindaco di Isola Capo Rizzuto Gianluca Bruno, a sua volta indagato in stato di libertà per concorso esterno in associazione mafiosa, si lamentavano di don Edoardo che, a loro dire, distraeva molte somme di denaro anche per accontentare i suoi nipoti. Tanto che i due avrebbero voluto sostituirlo con un altro sacerdote. Ma il sindaco obietta: sostituzione inopportuna, perché potrebbe provocare reazioni scomposte della criminalità organizzata. «Vedi che se se ne va lui .. che te lo dico io .. ci ripuliscono tutti», dice Bruno in conversazione avvenuta il 14 maggio 2016 negli uffici della società “Quadrifoglio”. E lo stesso Fernando Poerio ammette di avere paura: «Lui poi se la canta».

Una conversazione, secondo gli inquirenti, che «conferma la centralità della figura di don Edoardo Scordio nella gestione di Misericordia in termini assolutamente collimanti a quelle che sono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia». A don Scordio, i Poerio imputavano «la dissennata gestione della Misericordia» e si lamentavano «degli sprechi commessi dai familiari di don Edoardo».

Che don Edoardo Scordio fosse «uomo nostro» lo ripete Santo Mirarchi ai magistrati della Dda di Catanzaro in un interrogatorio del 9 novembre scorso, era stato Paolo Lentini, detto «pistola». E ancora, il pentito ricorda che Paolo Lentini, indicato come capo della cosca in concomitanza della detenzione dei fratelli Giuseppe e Pasquale Arena, esortava tutti a parlare male del prete negli abitacoli delle autovetture, in modo tale da sviare eventuali indagini in corso. Nell’interrogatorio, «Mirarchi – è scritto nel provvedimento

di fermo – riferiva che gli Arena gestivano il campo profughi grazie ad un prete che poi riconosceva in foto».

Molto esplicito anche il pentito Francesco Oliverio, ex capo del “locale” di Belvedere Spinello (Crotone), interrogato il 3 dicembre 2015 «Gentile Fiore fu chiaro nel dirci che la famiglia Arena controllava il Cara Sant’Anna per il tramite di Leonardo Sacco».

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