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Il nuovo pentito capace di far tremare i narcos

Il nuovo pentito capace di far tremare i narcos

Cosenza

La terra dei pentiti. L’area settentrionale della Calabria si rivela sempre più come una fucina di collaboratori di giustizia. L’ultimo a saltare il fosso, lanciandosi tra le braccia dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, è stato Luca Pellicori, imputato davanti al Tribunale di Cosenza per traffico di sostanze stupefacenti e fino alla scorsa settimana detenuto in regime di arresti domiciliari con tanto di braccialetto elettronico al polso. L’uomo ha revocato il proprio legale di fiducia (Marcello Manna) nominando un legale del foro di Catanzaro, l’avvocato Michele Gigliotti. Il pentimento ha assunto i canoni della “ufficialità” ieri mattina nel corso del processo scaturito dall’inchiesta “Apocalisse” che lo vede tra i rinviati a giudizio. Pellicori era stato arrestato a novembre del 2015 nell’operazione contro la presunta associazione per delinquere dedita al narcotraffico diretta, secondo la pubblica accusa, da Marco Perna, figlio dell'irriducibile boss cosentino, Franco Perna, in carcere ormai da un ventennio per scontare delle condanne definitive all’ergastolo. A tirare pesantemente in ballo Pellicori era stato, a più riprese, un altro collaboratore di giustizia, l’ex guardia giurata Silvio Gioia, che aveva deciso a sua volta di pentirsi nel gennaio del 2014.

«Luca Pelicori» ha raccontato Gioia «l’ho conosciuto all’autolavaggio di San Vito nell’anno 2012, ho familiarizzato con lui nel tempo poiché avevo modo di incontrarlo spesso all’autolavaggio lì mi recavo a contrattare gli acquisti di stupefacente che decidevo di effettuare da Marco Perna. In molte occasioni era proprio il Pellicori a consegnarmi personalmente lo stupefacente sempre successivamente al benestare di Perna. Ricordo che in un’occasione il Pellicori prese la mia macchina, si allontanò dall’autolavaggio, per poi farvi ritorno a piedi. Ritornato mi consegnò le chiavi della mia autovettura che aveva parcheggiato poco distante facendomi trovare al suo interno lo stupefacente appena prima ordinato al Marco Perna». La veridicità di queste affermazioni dovrà ovviamente essere valutata dai magistrati. Il Cosentino può essere considerata l’area della regione a più alta densità di pentiti. Il 23 luglio del 2015, infatti, ha deciso di collaborare Giuseppe Montemurro, ex buttafuori, legato al clan “Rango-zingari-Nuova famiglia”, finito in manette perchè trovato in possesso a Cerisano di due pistole.

 

L’uomo ha svelato al pm Pierpaolo Bruni della Dda di Catanzaro, come i clan mafiosi imponessero i buttafuori nelle discoteche di tutta la provincia. Nel settembre dello stesso anno hano poi deciso di “cantare” Marco Paura coinvolto in un’inchiesta sul traffico di droga gestito nel centro storico di Cosenza e, dopo di lui, lo scippatore Marco Massaro che ha vuotato il sacco con i carabinieri temendo di fare una brutta fine a seguito della sparizione di una partita di stupefacente. Passano pochi mesi e scelgono di collaborare pure Daniele Lamanna e Franco Bruzzese, coinvolti nell’omicidio del boss Luca Bruni. Nel gennaio 2017 si pente, infine, Vittorio Spadafora, 33 anni, fratello di Giovanni Spadafora reggente della ndrina di San Giovanni In Fiore per conto delle potenti cosche crotonesi.

Focus

Numeri da record. Sono una cinquantina i collaboratori di giustizia in servizio permanente effettivo nel Cosentino. Il calcolo è fatto considerando il numero di ex boss e picciotti fuoriusciti dalle file della criminalità organizzata dal 1993 ad oggi. Il numero maggiore è concentrato nell’area del capoluogo dove fecero da apripista Roberto Pagano ed i fratelli Dario e Nicola Notargiacomo seguiti a ruota dal famoso padrino Franco Pino e dagli spietati killer Franco Garofalo e Giuseppe Vitelli. Con il trascorrere dei lustri tanti altri hanno assunto medesime decisioni tanto da mettere a duro rischio la tenuta delle cosche storiche. Dall’altra parte della barricata sono passati personaggi importanti della ’ndrangheta bruzia come Vincenzo Dedato, “contabile” dei clan e Framnco Bevilacqua, capo della criminalità nomade. Varie e numerose sono state le scelte collaborative fatte dagli ’ndranghetisti attivi nella Sibaritide.

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