Il titolo della doppia personale “Two Italian Visions on Loire” che si terrà a Bréhémont, in Francia, dal 24 al 28 marzo, è concepito per esprimere le unità elementari che compongono la mostra stessa: Two è il numero degli artisti rappresentati – Leonardo Cannistrà e Carmela Cosco -; Italian ne indica l’origine, italiana appunto; Visions sottolinea la natura visiva dell’evento e allo stesso tempo l’approccio con cui gli artisti hanno scelto di operare: fotografico, fugace e rapido, da “visione” appunto, ed infine “Loire”, la Loira, terra a cui si fa omaggio dopo mesi di residenza, riflessione, sperimentazione e ricerca.
"Seppur come coppia stabile nella vita privata, Cannistrà e Cosco provengono da approcci – ed appunto visioni – ben distinti. Carmela mantiene una certa fedeltà all’installazione e la scultura multi-materica, trattando temi d’implicazione sociale ed antropologica, investigando, in una linea quasi costante, il concetto di casa, origine e radici. Più eclettico, Leonardo si dedica a creazioni che partono dalla fumettistica, si declinano alla pittura e che tangono la fotografia, la scultura e la pittura d’azione, affrontando temi che gravitano intorno al mondo dell’entità, la vecchiaia, l’entropia del corpo umano e del suo erotismo in decadimento, espressivo e repellente allo stesso tempo.
La residenza in Loira nasce come spunto di chiusura dei distinti percorsi accademici presso l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, presso cui entrambi si sono specializzati in pittura e scultura. E la Loira, con le prospicienti influenze di Parigi, Fontaine Blue, Nizza e i famosi castelli, che in grembo alle proprie
collezioni rivelano l’attivissimo carattere artistico di questa regione, si colloca al centro di un paese estremamente attivo in materia di residenza d’artista, cultura e arte.
E in questa scena, in una residenza di tre mesi, Leonardo Cannistrà propone la serie Identità, una collezione di 18 opere in diverso formato che trattano il tema della precarietà, l’entropia e la fragilità dell’era contemporanea. Ritraendo il corpo di anziani nudi, l’artista propone soggetti dalle architetture sfatte, che nell’entropia di un corpo in cambiamento e di un’espressione fotografica, sfuggente e sfumata, ricordano il letterale sfumare del tempo, reso grottesco e tattile, carnale, con la giustapposizione di tecniche miste: carboni, oli, grassi, tempere bitumi e cera, che di per sé, nel suo essere materica, ricorda il disfacimento e la consunzione, la morte.
E attingendo ad un immaginario ecclesiastico, delle icone e dell’oro, affresca piccole porzioni dell’opera con frammenti di foglia d’oro, alludendo ad una purezza e santità che la società moderna, nel corpo di queste “icone”, pare abbia perso.
Citando Jenny Saville, Lucian Freud, Gerhard Richter, Jean Dubuffet, Alexa Meade e le teorie del sociologo Nick Crossley, identità propone un viaggio di visualizzazione del mondo della precarietà contemporanea mediante profane allegorie, identità.
Più in contatto con la terra ospitante, la Loira, Carmela Cosco propone invece la serie di opere terroir, parentesi concettuale di un progetto più grande che ha la casa e le radici come temi di ricerca. Nella specificità della Loira e della Francia, il complesso concetto di terroir è originariamente collegato al mondo della viticoltura. Secondo questa visione, il carattere del vino è il prodotto complesso di centesimali fattori ambientali, umorali e fatalistici che penetrano nel terreno, il terroir appunto, che quindi non diventa banale concime d’innesto della pianta, ma il grembo genitoriale di una serie di caratteristiche specifiche che in un lotto adiacente, anche confinante, possono variare completamente. Suggestionata da questa teoria, l’artista raccoglie proprio dal terreno, dal terroir della Loira, elementi del paesaggio: pietre, radici, fiori, piante e terra, che innestati su basi circolari diventano zolle di studio di una collezione seriale: terroir 1, terroir 2, terroir 3…
Dei campioni di riflessione sul concetto di appartenenza, casa e radici che ricordano il lavoro dell’artista siciliano Alessandro Piangiamore, che nella serie Tutto il vento che c’è (2012) pone dei panetti d’argilla in punti strategici del mondo in cui si originano i venti e che, per effetto della seccatura dell’argilla, rimangono imprigionati nel corpo dei panetti. Una mappatura crescente del mondo dei venti che come nel lavoro di Carmela celebra l’appartenenza, la terra e la casa, in un periodo di ostilità, confine e muro.