
Protagonista era un gruppo criminale, collegato a soggetti della n'drangheta nel Nord Italia, che i Carabinieri, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia, hanno sgominato al termine dell'operazione "Nuova frontiera". Gli indagati acquisivano imprese in difficoltà o sull'orlo del fallimento, ma invece di farle 'ripartire', ordinavano mezzi ed attrezzature ai fornitori, che non venivano però pagati, cessando l'attività delle aziende e facendo sparire i materiali. Tutto quello che veniva acquistato in modo indebito, veniva poi spedito in Calabria per essere riciclato. Il sodalizio criminale avrebbe truffato almeno 150 imprese, per un valore stimato attorno ai 12 milioni di euro. Oltre alle aziende nordestine sarebbero state truffate anche banche e finanziarie; a raggiro si aggiunge il danno provocato con carte di credito per il prelievo fraudolento di carburante. Le ipotesi di reato contestate dalla Procura antimafia di Venezia sono truffa, bancarotta fraudolenta, ricettazione, riciclaggio, ma anche violenza aggravata legata al modo mafioso utilizzato nel gestire i contatti. Le indagini hanno consentito di individuare numerose società e imprese individuali, divenute obiettivo della banda, che avevano sede e unità locali in Veneto. Venivano utilizzate per attuare truffe ai danni di imprenditori operanti in varie parti del territorio nazionale (fatta eccezione per la Calabria che, al contrario, era il luogo di destinazione dei beni acquisiti in modo illecito). "Uno degli atti più significativi di questa indagine, che ha richiesto tempo ed è risultata molto difficile - ha detto Procuratore reggente di Venezia Adelchi D'Ippolito -, è il collegamento tra la criminalità che noi abbiamo trovato operante sul nostro territorio e la 'ndrangheta calabrese". "La merce - ha aggiunto D'Ippolito - era tutta ricollocata in Calabria, quindi, evidentemente, le persone che sono state state colpite da misure cautelari potevano contare su una rete molto ramificata proprio in quella regione".
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