Il “mostro silente”. Così viene definita la ’ndrangheta dagli investigatori statunitensi del Bureau (Fbi). La mafia calabrese, infatti, agisce in “immersione” e solo in rarissime occasioni ha attaccato – eliminandoli – esponenti delle Istituzioni. Tre i magistrati assassinati: Francesco Ferlaino, avvocato generale dello Stato di Catanzaro, ucciso a Lamezia nel luglio 1975; Bruno Caccia, procuratore capo di Torino, assassinato nel capoluogo piemontese nel giugno del 1983; Antonino Scopelliti, sostituto procuratore generale in Cassazione, trucidato a Campo Piale nell’agosto del 1991. Nel 1979, a Reggio Calabria, un grave attentato intimidatorio venne compiuto contro Vincenzo Macrì, all’epoca giudice istruttore. Poi più nulla fino alle bombe fatte esplodere prima davanti agli uffici della Procura generale e, poi, sotto l’abitazione del procuratore reggino, Salvatore Di Landro. Cui può aggiungersi il bazooka fatto trovare a due passi dagli uffici della magistratura inquirente reggina per intimorire l’allora procuratore capo, Giuseppe Pignatone. Gli ultimi tre episodi sono ascrivibili all’azione terroristico-mafiosa svolta per ordine di Nino Logiudice, detto “il nano”, poi divenuto un discusso collaboratore di giustizia. Le gravi intimidazioni sarebbero state decise dal “nano” in “autonomia” senza il consenso delle altre cosche. Questo almeno quanto dichiarato dal pentito in confessioni tuttavia successivamente smentite attraverso dei controversi memoriali inviati ai magistrati.
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