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La Regione “copre”
i danni erariali

La Regione “copre” i danni erariali, scoppia il caso dei gruppi consiliari

La Regione dei paradossi. Quando il rimedio è peggiore del male: in Calabria il sospetto danno erariale viene risarcito con… fondi pubblici. Sono gli effetti della modifica a una legge regionale varata a Palazzo Campanella nel 2014, che prevede un meccanismo semplice semplice: la restituzione all’Erario di eventuali fondi spesi in maniera irregolare dai gruppi consiliari avviene «mediante compensazione con i contributi per le spese di funzionamento assegnati a tutti i gruppi consiliari negli anni 2012, 2013 e 2014, restituiti negli esercizi finanziari 2013, 2014 e 2015, nonché con le disponibilità derivanti da spese per il personale non utilizzate».

Insomma, tutto si ripiana non di tasca propria ma attingendo alle casse pubbliche. E sarebbe stata anche una valida via d’uscita per i consiglieri indagati dalla Corte dei Conti per le “spese pazze” in Consiglio regionale, se non fosse che la stessa Magistratura contabile nutre forti dubbi sulla costituzionalità della legge. Non a caso la procuratrice regionale, Rossella Scerbo, ha chiesto formalmente di sollevare alla Consulta la questione di legittimità dell’articolo 7 (commi ter e quarter) della legge regionale 13/2002 nel testo integrato dalla legge 10/2104.

Il “caso” sarà affrontato dalla Corte dei Conti nelle udienze di martedì e mercoledì. Per sospetto danno erariale (i fatti risalgono alla scorsa legislatura) sono stati citati Emilio De Masi (gruppo consiliare di Italia dei Valori, contestate spese per 99.034,76 euro), Gianpaolo Chiappetta (Popolo delle Libertà, 58.300,92 euro), Vincenzo Ciconte (Progetto Democratico, 6.389,96 euro), Giuseppe Bova (Gruppo Misto, 168.465,85 euro), Alfonso Grillo e Giovanni Emanuele Bilardi (gruppo Scopelliti Presidente, 300.340,27 euro), Sandro Principe e Antonio Scalzo (Partito Democratico, 49.952,57 euro), Alfonso Dattolo e Ottavio Gaetano Bruni (Unione per il Centro-Udc, 28.730 euro), Damiano Guagliardi (Federazione della Sinistra, 21.865,89 euro) e Giulio Serra (Insieme per la Calabria, 17.793,24 euro), difesi dagli avvocati Alfredo Gualtieri, Nunzio Raimondi, Loris Maria Nisi, Vittorio Gallo, Domenico Sorace, Giuseppe Pitaro, Francesco Certo e Vittorio Gallucci.

Il procedimento scaturisce da una verifica della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti, che a maggio del 2014 ha dichiarato «l’irregolarità di parte delle spese sostenute dai gruppi consiliari della Regione Calabria». Hanno fatto seguito la legge “incriminata” e il recupero tramite compensazione. Un passaggio che - al di là delle singole spese e delle posizioni personali di ognuno degli indagati – viene adesso ritenuto incostituzionale dalla procuratrice regionale della Corte dei Conti. Che, in ognuno dei dodici atti di citazione recapitati nelle scorse settimane, spiega: «Il danno subito dalle casse della Regione non può essere “compensato” da una restituzione che, paradossalmente, finisce con il gravare sul patrimonio del danneggiato, cioè la stessa la Regione Calabria». E comunque sia, a prescindere dalla costituzionalità o meno della compensazione, mancherebbe la documentazione contabile che ne attesti il compimento da parte dei gruppi consiliari. I difensori dei citati in giudizio ribattono con lunghe e articolare memorie. «Le censure di incostituzionalità – rileva l’avvocato Alfredo Gualtieri – si presentano irrilevanti e manifestamente infondate. La legge aggiunge solo un’ulteriore modalità di estinzione del debito, senza influire in alcun modo sulla materia della “responsabilità amministrativa” anche dei gruppi consiliari». Ma dal punto di vista normativo, secondo la Procura della Corte dei Conti, non ci sono dubbi: la stessa Corte Costituzionale «ha più volte affermato che non spetta alle Regioni dettare una disciplina particolare della responsabilità amministrativa dei propri dipendenti e/o amministratori, trattandosi di fattispecie riconducibile alla materia di giurisdizione come tale di competenza esclusivamente statale». La Regione, insomma, non avrebbe potuto cambiare le carte in tavola. Non c’è “casta” che tenga.

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