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Narcotraffico, il peso dei sancalogeresi

Narcotraffico, il peso dei sancalogeresi

Una joint venture su larga scala, direttamente proporzionale al monopolio acquisito nel tempo dalla ‘ndrangheta nel narcotraffico. Un lucroso business “oliato” dalla disponibilità di rilevanti somme di denaro contante (10 milioni di euro cash erano pronti per l’acquisto di un carico di cocaina – i famosi 8mila kg – venduta dai narcos a 20mila euro al kg), circostanza questa che avrebbe favorito i rapporti diretti dei calabresi, vibonesi in particolare, con i colombiani.

Un ennesimo spaccato del giro mondiale di droga fotografato dalla Dda con l’ausilio dei militari del Gico e del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Catanzaro, diretto dal col. Michele Di Nunno. Ma per chiudere il cerchio sull’operazione “Stammer – oltre alla collaborazione della Polizia colombiana e della Nca (National Crime Agency) inglese – è stato indispensabile l’apporto del Comando generale e della Direzione centrale servizi antidroga (Dcsa).

Un giro del mondo seguendo le piste di cocaina che ha portato gli investigatori ancora una volta nel Vibonese, dove cambiati talvolta gli ordini degli addendi il prodotto è rimasto praticamente lo stesso. Le numerose inchieste che hanno colpito il business narcotraffico nel Vibonese hanno, di fatto, apportato “cambi” tra i piloti dell’affaire che è rimasto uno dei canali di investimento e guadagni privilegiato.

In base a quanto emerso dall’operazione “Stammer” nel nuovo capitolo del narcotraffico aperto dalla Dda un ruolo di primo piano avrebbero, in particolare, svolto tre cosche vibonesi: i Pititto-Prostamo-Galati di Mileto, i Fiarè-Gasparro-Razionale di San Gregorio d’Ippona e il gruppo di San Calogero. Quest’ultimo, nello specifico, ha un background di tutto rispetto nel settore visto che già l’inchiesta Decollo (2004) delineava il ruolo di soggetti della ‘ndrina sancalogerese nel narcotraffico. E tra tutti emergeva la figura di Vincenzo Barbieri (assassinato nel marzo del 2011) alla cui morte le redini del gruppo sarebbero passate nelle mani di Francesco Ventrici, indicato unitamente a Barbieri come una delle figure cardine del narcotraffico e tra i maggiori broker a livello internazionale. Lo stesso Ventrici coinvolto successivamente nel blitz “Due Torri connection” e che nel frattempo si era stabilito in Emilia. Un allontanamento dal Vibonese che però non avrebbe significato disinteresse verso gli affari che nella provincia di origine si concludevano. Attività per le quali – secondo gli inquirenti – Ventrici avrebbe delegato Antonio Grillo (noto pure come il traduttore) di San Calogero, il quale avrebbe continuato a tenere rapporti con i narcos, tant’è che il suo coinvolgimento nella recente indagine viene fatto risalire alla fase di pianificazione della spedizione del “carico di prova” (63 kg) di cocaina – sequestrata nell’agosto del 2015 nel porto di Livorno – che sarebbe stata condotta da Giuseppe (Peppe) Mercuri di San Calogero e da Salvatore Pititto di Mileto.

Oltre al Traduttore altra figura non secondaria della ‘ndrina sancalogerese sarebbe stato appunto Peppe Mercuri, i cui cugini (Giuseppe del ‘77 e Annunziato del ‘71) sono stati attenzionati nell’ambito dell’inchiesta Decollo e con straschi giudiziari sfociati nei successivi blitz Decollo bis, Decollo ter. Attività che hanno consentito di fare luce su diverse importazioni di droga che sarebbero stati commissionati dai Mercuri ai narcos del Cartello colombiano per conto dei Mancuso di Limbadi. Indagini alle quali si è poi aggiunta l’operazione Decollo money che ha portato in luce il tentativo di Vincenzo Barbieri di acquistare la Banca di San Marino riciclando i proventi dell’attività del narcotraffico. E che il denaro e tanto fosse nella disponibilità del gruppo lo rivelò all’epoca il trolley pieno di euro portato a San Marino che – secondo quanto dichiarato dal cassiere dell’istituto di credito – “puzzavano di muffa”.

Nell’ambito delle nuove strategie sul narcotraffico, dunque, Peppe Mercuri avrebbe ricoperto un ruolo importante e lo stesso, secondo la Dda, sarebbe stato scelto dai Mancuso in quanto broker privo di precedenti specifici «al fine di garantire continuità nelle importazioni e bypassare i soggetti già condannati per narcotraffico internazionale, sino allora utilizzati».

Diverse strategie, dunque, e sempre una cointeressenza tra le tre ‘ndrine vibonesi tutte legate ai Mancuso di Limbadi. Tattiche riorganizzative che avrebbero, inoltre, fatto emergere anche il ruolo di Giuseppe Grillo (fratello di Antonio) e del padre Pasquale che con Salvatore Pititto avrebbero diretto, organizzato e finanziato la nuova importazione. Una sorta di direttorio a latere del quale gli inquirenti pongono Giuseppe Iannello (‘89) di San Calogero, nipote di Francesco Ventrici il cui compito sarebbe stato quello di fare da «raccordo informativo» tra i soggetti dei gruppi di Mileto e San Calogero.

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