Papa Bergoglio riprende a parlare di mafie. E rilancia un dibattito che lui stesso aveva avviato in Calabria quando, il 21 giugno del 2014, scomunicò i mafiosi durante un accorato discorso pronunciato nella Piana di Sibari. Pochi mesi prima in quei luoghi era stato ucciso e poi dato alle fiamme un bambino di tre anni, Cocò Campolongo. Il Pontefice, parlando a 250.000 persone, disse: «Quando non si adora il Signore si diventa adoratori del male, come lo sono coloro che vivono di malaffare e di violenza e la vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le conseguenze di questo peccato. La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Coloro che nella loro vita hanno questa strada di male, i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!».
Nessun vicario di Cristo aveva mai pronunciato parole tanto forti. La reazione alla «scomunica» lanciata a Sibari contro padrini e picciotti, fu una maggiore consapevolezza collettiva del problema e l'adozione di tutta una serie di documenti e regolamenti da parte delle diocesi per impedire qualsivoglia tipo d'infiltrazione criminale nelle parrocchie e nella manifestazioni di pietà popolare. Ora Papa Francesco riprende il filo di quel discorso e sceglie di farlo davanti ai magistrati della Direzione nazionale antimafia. Parla a loro perché tutti ascoltino. «Dio tocchi il cuore degli uomini e delle donne delle diverse mafie, affinché si fermino, smettano di fare il male, si convertano e cambino vita. Il denaro degli affari sporchi e dei delitti mafiosi è denaro insanguinato e produce un potere iniquo». E aggiunge: «la mafia è espressione di una cultura di morte, è da osteggiare e da combattere e si oppone al Vangelo». Bergoglio sembra legarsi all’anatema di Giovanni Paolo II che, il 9 maggio del 1993, ad Agrigento, puntando l'indice verso la folla, pronunciò una frase destinata a restare scolpita nella storia della Chiesa: «Mafiosi convertitevi perché verrà il giudizio di Dio!».
Il Pontefice di origine argentina ha voluto questa volta però aggiungere qualcosa rispetto a quanto affermato tre anni addietro a Cassano. Ha inteso indicare le cause dell'espansione e del consenso sociale ottenuti dalle mafie italiane. «Camorra mafia e ’ndrangheta, sfruttando carenze economiche, sociali e politiche, trovano un terreno fertile per realizzare i loro deplorevoli progetti». Il messaggio è chiaro e riguarda il funzionamento complessivo della nostra società. Un messaggio che il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ritiene «molto importante».
«Il Papa parla il linguaggio della chiarezza» afferma il magistrato «è autorevole e, soprattutto, credibile. Mi sento sommessamente di dire che credo debba parlare ai politici che hanno gli strumenti per cambiare le cose e non lo fanno. I cittadini sanno perfettamente qual è la situazione ma non possono fare nulla. I magistrati,a loro volta, applicano le leggi che ci sono. In Parlamento, al contrario, chiunque può presentare un articolato di legge e chiedere che venga discusso, esaminato e condiviso». Bergoglio è molto popolare e la gente ne apprezza le doti di coraggio e schiettezza. «Il Papa è un grande comunicatore» conferma Gratteri «ed ha ridato ossigeno alla Chiesa. Ritengo sia stata la migliore scelta possibile in un periodo di grande crisi di vocazioni religiose».
Per il procuratore di Catanzaro il discorso pronunciato nel 2014 da Bergoglio a Cassano è «un importantissimo spartiacque». La “scomunica” pronunciata da Bergoglio segna un passo decisivo nei rapporti tra i “pastori” del Signore e gli “uomini di rispetto”. Rapporti che non potranno piu’ essere equivoci, né all’insegna d’una sottile complicità o acquiscienza da parte di preti e parroci. E la chiesa calabrese con la sua Conferenza Episcopale, guidata dal monsignor Vincenzo Bertolone, è promotrice di un significativo volume dal titolo inequivocabile: «La ’ndrangheta è l'antievangelo». Il testo raccoglie il percorso compiuto lungo un secolo – dal 1916 al 2016 - per isolare i mafiosi e testimoniare il Vangelo. Il libro è firmato da tre sacerdoti: Filippo Curatola, Enzo Gabrieli e Giovanni Scarpino.
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