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Clan Bonavota, partita ancora aperta

Clan Bonavota, quattro indagati restano in cella

Percorsi separati ma paralleli. Nel senso che il gip distrettuale non ritiene chiusa la “partita” con tutti gli indagati nell’ambito dell’inchiesta “Conquista”.

Il primo step

Il rinnovo della misura cautelare dei giorni scorsi, emesso dal gip Pietro Carè su richiesta del pm della Dda Camillo Falvo, riguardava infatti soltanto quattro indagati. Ovvero: Domenico Bonavota, Onofrio Barbieri, Giuseppe Lopreiato e Domenico Febbraro, tutti di Sant’Onofrio. E in tal senso la misura cautelare è stata emessa a loro carico in quanto il gip distrettuale ha preso in esame esclusivamente la richiesta di rinnovazione ex art. 27 (cioè delle misure disposte dal giudice territorialmente incompetente) che coincidono, appunto, con la posizione dei quattro indagati in carcere.

Le richieste ex novo

Insomma una sorta di primo step a cui ne seguirà un secondo avendo il gip distrettuale «riservato a un più approfondito esame» la decisa in merito alla richiesta di applicazione ex novo della custodia cautelare in carcere – avanzata dal pm – nei confronti di altri quattro indagati.

Nello specifico di: Francesco Salvatore Fortuna (in carcere dal gennaio 2015 per l’omicidio Di Leo) in relazione all’assassinio di Raffaele Cracolici (alias Lele Palermo) ucciso nel maggio 2004; di Pasquale Bonavota (raggiunto dal provvedimento di fermo nell’ambito dell’operazione “Conquista” e scarcerato dal gip di Roma) indicato quale uno dei presunti mandanti degli agguati a Cracolici e Di Leo; di Nicola Bonavota (fermato come il fratello e poi rimesso in libertà dal gip) sempre come presunto mandante e di Vincenzino Fruci in merito al tentativo di estorsione (nel 2004) ai danni di un’azienda del gruppo Callipo.

Il peso dei pentiti

Una partita, dunque, ancora aperta quella con il clan Bonavota di Sant’Onofrio anche perché – e il gip Carè lo sottolinea nella recente ordinanza – gli indizi di colpevolezza a carico di tutti gli indagati sarebbero ancorati a elementi di riscontro di un certo peso.

Per lo stesso gip, inoltre, relativamente all’omicidio Cracolici, il fatto che a suo tempo le dichiarazioni rese dal collaboratore Francesco Michienzi (operazione Uova del Drago) non furono sufficienti a dimostrare la responsabilità di Domenico Bonavota e Vincenzino Fruci (entrambi assolti con sentenza passata in giudicato), «le risultanze di detto procedimento e in particolare le dichiarazioni del collaboratore possono (e debbono) essere utilizzate al fine di dimostrare la colpevolezza degli altri autori del reato non ancora tratti a giudizio».

Ma c’è di più perché secondo il gip le dichiarazioni di Andrea Mantella (anch’egli da diversi mesi collaboratore di giustizia) «costituiscono un solido riscontro alla chiamata in correità fatta in precedenza dal Michienzi. Il nuovo collaboratore infatti – rileva il gip – si attribuisce, fra gli altri, la responsabilità dell’omicidio Cracolici, indicando quali esecutori materiali Francesco Scrugli, Francesco Fortuna e Onofrio Barbieri; se stesso e Domenico Bonavota in appoggio logistico, nonché Nicola e Pasquale Bonavota quali ulteriori mandanti».

Elevatissima credibilità

E un peso non indifferente viene dato anche alle dichiarazioni di Mantella relativamente all’omicidio di Domenico Di Leo (detto Micu ‘i Catalanu). In tal caso per il gip le dichiarazioni di Mantella «costituiscono una chiamata diretta in correità connotata dai requisiti della precisione, della coerenza e della spontaneità». In altre parole «un’elevatissima attendibilità» che, unitamente «alla genuinità del suo patrimonio conoscitivo» risultano confermati da uno specifico dato. Nei verbali resi il 4 maggio 2016 Mantella indica Scrugli come il componente del gruppo di fuoco che insieme a Fortuna sarebbe entrato in azione per l’agguato mortale a Di Leo.

Ebbene all’epoca non erano ancora noti gli esiti – pervenuti successivamente, ovvero il 25 maggio 2016 – «della comparazione (positiva) fra il patrimonio genetico dello Scrugli e le ulteriori tracce di Dna repertate sui guanti di lattice rinvenuti nell’auto usata dai killer».

Le altre tracce repertate avevano dato, in precedenza (gennaio 2015) la «completa sovrapponibilità» tra il profilo genotipo di Francesco Fortuna e quello estrapolato dal reperto.

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