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La tratta delle donne e la mafia nigeriana

La tratta delle donne e la mafia nigeriana

L’«ascia nera». Così si chiama – “Black axe” – la più potente e temuta mafia nigeriana che ha messo radici in Europa e controlla, oltre al traffico di droga, pure il mercimonio dei corpi di centinaia di ragazze provenienti dal popolatissimo stato africano. Ragazze costrette a “battere” in ogni angolo del vecchio continente. La Nigeria è una nazione ricca di giacimenti di greggio, infestata dai terroristi islamici di Boko Haram e sfruttata fino all’osso dalle compagnie petrolifere occidentali. Ed è tra i pozzi petroliferi ed i giacimenti di gas naturale che è nata questa organizzazione criminale ora presente anche nel meridione d’Italia. La “Black axe” venne colpita, per la prima volta, alla stregua di un’associazione mafiosa nel 2007, dalla magistratura inquirente di Brescia; successivamente stessa cosa accadde a Torino, nel 2010, e, infine, a Palermo nel novembre dell’anno appena concluso. La mafia africana ha riti di iniziazione, gerarchie, regole di omertà e sistemi punitivi come le tradizionali consorterie di cosa nostra e ’ndrangheta. Nel gruppo si entra per cooptazione e l’inziazione degli adepti avviene solo dopo che hanno mostrato ferocia e coraggio. In Calabria i nigeriani marcano la loro presenza attraverso la gestione della prostituzione avviata approfittando del flusso dei migranti. Tra gli stranieri che approdano nei porti ci sono, infatti, le ragazze destinate a vendere il corpo lungo le nostre strade. Spesso viaggiano accompagnate, in incognito, dagli affiliati al sodalizio.

Nella parte settentrionale della regione, nella porzione di territorio compresa tra Cassano, Corigliano e Rossano, “lavorano” una trentina di donne provenienti dal sud-est della Nigeria. Sono tutte vittime della “tratta” e seguono regole precise imposte dai padrini dell’«Ascia nera».

Ma come funziona l’infernale meccanismo di assoggettamento? Ogni prostituta sottoscrive nella città d’origine un vero e proprio contratto con cui s’impegna a restituire alla organizzazione 50.000 euro equivalenti alle spese sostenute per farle compiere il viaggio verso l’Italia. La futura “lucciola” viene quindi affidata ad un accompagnatore – detto “trolley” – che l’aiuta ad attraversare vari stati (Togo, Ghana, Costa d’Avorio) per raggiungere la Libia. Dalle spiagge della Tripolitania la donna s’imbarca poi sui gommoni destinati ad essere soccorsi a ridosso delle acque internazionali (e non solo) della unità militari di “Frontex”. Messo piede nella Penisola, viene quindi abbandonata dal “trolley” e consegnata ad una “Madam”. Si tratta di una donna della medesima nazionalità, messa a stipendio dalla organizzazione, che la istruisce sul come comportarsi e che, mensilmente, riscuoterà il denaro destinato ad estinguere il debito da 50.000 euro. Il controllo sulle prostitute è asfissiante e basato su minacce fisiche e costrizioni psicologiche. Chi non rispetta i patti mette a rischio l’incolumità dei parenti rimasti nella terra di origine e diventa inoltre oggetto di riti e maledizioni – frutto della cultura religiosa animista – destinati a condurre (queste le credenze) alla morte. Un rapporto sessuale con una nigeriana sulla strada Statale 106 ionica calabrese costa da 30 a 50 euro, a seconda della prestazione. Le vittime della tratta, che in genere hanno un’età compresa tra i 20 ed i 30 anni, possono affrancarsi dalla loro condizione di sostanziale schiavitù collaborando con le forze di polizia. Questo, però, avviene molto di rado. I mafiosi nigeriani non esitano a punirle severamente. La “Black Axe” dispone di crudeli “azionisti” cui vengono delegate le operazioni “sporche”: si chiamano “bucha” e svolgono le funzioni di picchiatori. Si tratta di uomini capaci di tutto. All’«Ascia nera» si deve infatti una quasi ottusa fedeltà. E chi tradisce paga con la vita.

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