Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Il processo “Black money”
rimane al Tribunale di Vibo

Il processo “Black money” rimane al Tribunale di Vibo

Ricorso inammissibile e una condanna pecuniaria di 8mila euro a favore delle parti civili. Il processo Black money, pertanto, non sarà trasferito in altra sede e continuerà davanti ai giudici del Tribunale di Vibo Valentia (Vincenza Papagno presidente, a latere Giovanna Taricco e Pia Sordetti). L’istanza di rimessione presentata da dodici imputati attraverso i loro legali è stata ritenuta priva di fondamento.

La decisione della Corte di Cassazione, assunta nell’udienza del 23 dicembre scorso, è stata resa nota soltanto nella mattina di ieri; un ritardo causato solo per via delle festività natalizie. Pertanto il processo Black money, che vede alla sbarra ventidue imputati e tra loro le figure apicali della cosca Mancuso di Limbadi, riprenderà regolarmente stamane nell’aula bunker del nuovo palazzo di Giustizia. Un processo ormai agli sgoccioli, con un’istruttoria dibattimentale di fatto chiusa che potrebbe oggi stesso mettere in condizioni il Tribunale a dare la parola alla pm Marisa Manzini per avviare la sua requisitoria anche se rimangono le ultime riserve da sciogliere da parte del collegio giudicante su alcune richieste avanzate in precedenza dalla difesa.

A chiedere lo spostamento del processo erano stati dodici imputati. Si tratta di Giovanni Mancuso, Giuseppe Mancuso, Damien Fialek, Antonio Castagna, Agostino Papaianni, Antonio Prestia, Gaetano Muscia, Pantaleone Mancuso (alias Scarpuni), Angelo Nicola Castagna, Carmela Lopreste, Giuseppe Papaianni e Ottorino Ciccarelli.

Alla base dell’istanza di rimessione ad altro giudice del procedimento penale per motivi di legittimo sospetto – secondo quanto sottoscritto da undici avvocati – «gravi situazioni locali, non altrimenti eliminabili, tali da turbare lo svolgimento del processo» che l’Alta Corte ha ritenuto palesemente infondate. Una richiesta maturata dopo la burrascosa udienza del 10 ottobre scorso nel corso della quale è stato effettuato il controesame del collaboratore di giustizia Andrea Mantella. In quell’occasione sono volati insulti da parte del collaboratore di giustizia agli avvocati e pesanti minacce del boss Pantaleone Mancuso nei confronti della pm Marisa Manzini. Un clima infuocato a cui sono seguite il giorno successivo non solo cronache altrettanto pesanti da tutti i media ma pure censure per l’accaduto dal mondo politico e della stessa magistratura che ha espresso solidarietà alla pm Marisa Manzini ed ai giudici per le critiche ricevute. Resoconti che hanno finito per prospettare alla Cassazione «il legittimo sospetto che l’organo giudicante possa essere privato di quella serenità» necessaria per poter assumere le sue decisioni. Rilievi che, tuttavia, non hanno trovato accoglimento nelle decisioni dei giudici della seconda sezione penale della Cassazione. A perorare la causa delle parti civili, che si sono opposte alla rimessione del processo associandosi alla richiesta del Pg, gli avvocati Claudia Conidi, Giovanna Fronte e Domenico Talotta.

Oggi in edicola

Prima pagina

Caricamento commenti

Commenta la notizia