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Attesa per interrogatorio Galizia

Attesa per interrogatorio Galizia

Le notti infinite di Luigi Galizia. Il rumore dei pesanti cancelli di ferro che si chiudono, l’appello scandito dagli agenti, gli spazi claustrofobici della cella, una scomoda brandina su cui agitarsi guardando la luce fioca della luna attraverso le sbarre. L’uomo accusato di aver assassinato Edda Costabile e la figlia, Maria Ida Attanasio, è rinchiuso nel carcere di Castrovillari. E nel penitenziario l’interrogherà oggi il Gip di Castrovillari chiamato a confermare o cassare il provvedimento di fermo firmato dal procuratore Eugenio Facciolla e dal pm Giulia Rana.

Galizia, difeso dall’avvocato Francesco Boccia, da venerdì notte sta riflettendo sulla sua difficile condizione. Nessuno ha potuto offrirgli conforto né consigliarlo: la sua è stata la terribile condizione di solitudine cui sono condannati i detenuti ristretti in isolamento ai quali viene pure imposto il divieto di colloquio con il difensore. Le ore sono state tante, forse troppe, per essere sopportate senza conseguenze. L’astrazione dal resto del mondo può essere accettata se è una scelta ed è di durata limitata. Quando il tempo della solitudine s’allunga è lansia, invece,a prendere il sopravvvento. Oggi capiremo qual è lo stato in cui il detenuto Galizia s’è presentato davanti ai magistrati. Il crimine di cui è accusato è infamante: aver assassinato con 14 colpi di pistola calibro 9 due donne incolpevoli. La mamma e la sorella di Franco Attanasio, il trentunenne agente immobiliare con il pallino degli affari, che ha ammazzato ad aprile il fratello, Damiano. Il fratello che amava e con cui è cresciuto. Dal giorno della scomparsa del germano Luigi non s’è dato pace. E le sue angosce sono diventate, insieme ad altri gravi elementi indiziari, la ragione della sua formale incriminazione. Contro quest’uomo indagato vi sono pure delle inconfondibili tracce di polvere da sparo rilevate sull’auto con cui solitamente si spostava e sugli indumenti ritrovati a bordo e della vettura. Poi ci sono le parole, quelle appena sussurrate dal padre e dai suoi famigliari, intercettate dalle microspie piazzate dai carabinieri del Reparto operativo e dagli agenti della squadra mobile di Cosenza. Nessuno, però, tra le decine di persone presenti nel cimitero di San Lorenzo del Vallo al momento del duplice omicidio, ha detto di averlo visto sparare. Nessuno, nel paese dove già nel 2011 erano state uccise altre due donne (un’altra mamma e un’altra figlia), ha trovato il coraggio e la voglia di parlare. «Il piombo fa paura come le notti buie di tempesta» diceva il grande giornalista siciliano Mauro De Mauro. E tra le colline su cui è adagiato quel pugno di case dove vivevano vittime e presunto omicida, di sangue e di lutti non si vuol sentir parlare. Meglio il silenzio e la rassegnazione, figli sconsiderati della paura...

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