Calabria

Sabato 28 Dicembre 2024

Jihad in Calabria, chiuse le indagini sul marocchino arrestato a Luzzi

Jihad in Calabria, chiuse le indagini sul marocchino arrestato a Luzzi

Le due storie dei sospetti jihadisti finiti in carcere in Calabria. Uno sbarcato a Crotone con un motopeschereccio da lui stesso acquistato e condotto per il mar Jonio, l’altro arrivato con un permesso di soggiorno per ricongiungersi ai familiari che vivevano a Luzzi (Cs) già da tempo: tutti e due sono adesso nella sezione speciale della casa circondariale di Rossano su dispostizione della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.

Per il primo l’inchiesta penale è ancora in corso, al secondo è stato invece notificato in queste ore un avviso di conclusione delle indagini preliminari, che comunque potrebbe ancora lasciare aperti scenari imprevedibili.

Il primo a finire in manette, a settembre del 2014, è stato Abo Robeih Tarif, siriano di 23 anni. Per lo sbarco sulle coste di Crotone ha già scontato una condanna a 2 anni e 4 mesi di relcusione inflittagli dalla Corte d’Appello. Ma proprio il giorno in cui stava per essere scarcerato, la Guardia di Finanza lo ha risottoposto a un provvedimento di fermo stavolta con l’accusa di terrorismo internazionale. Dal suo cellulare sarebbe venuto fuori materiale compromettente, fotografie con armi pesanti e su un carro armato in territorio di guerra, chat inneggianti al “sacrificio” e un auspicio agghiacciante: «Voglio filmare un martirio». Il giovane, anche durante la detenzione a Catanzaro, avrebbe tenuto contatti con sospetti terroristi. Infatti, la Polizia penitenziaria ha intercettato una missiva nella quale l’interlocutore chiede le caratteristiche di una persona da individuare per un compito «non bene chiarito». Una frase avulsa dal resto della lettera e per questo ancor più sospetta. Interrogato lunedì scorso, Tarif ha respinto le accuse: «Sono solo un amrittimo, certo non un jihadista». Davanti al gip di Castrovillari, Guglielmo Labonia, assistito dal suo legale di fiducia, l’avvocato Antonio Anania del Foro di Crotone, ha spiegato di aver scattato le foto sospette solo per “farsi bello”. Tra oggi e domani il Tribunale della Libertà dovrebbe fissare l’udienza per discutere il ricorso già presentato contro l’ordinanza di custodia cautelare.

Invece su Mehdi Hamil, 25 anni, marocchino di Ouled Fares, la Dda ha chiuso le indagini nei giorni scorsi, lasciando aperti però con un’operazione tecnica di stralcio ipotetici “terreni” d’investigazione (pure a carico di eventuali altre persone). Mediante contatti con ambienti del terrorismo islamico e l’utilizzo della rete Internet, secondo l’accusa avrebbe acquisito video di propaganda jihadista, di addestamenti e di combattimenti sotto l’effigie dello Stato islamico, filmati che esaltano il martirio, altri video di prediche «che spronano i seguaci a intrapèrendere una guerra contro gli infedeli», e ancora filmati di barbare esecuzioni o attentati. Secondo l’accusa, così il 25enne avrebbe «proceduto al suo addestramento al fine di compiere atti di violenza con fanilità di terrorismo internazionale, anche tentando di recarsi in luoghi teatro di conflitti». Una tesi aspramente contrastata dal difensore del marocchino, l’avvocato Francesco Iacopino del Foro di Catanzaro, che a distanza di mesi attende ancora le motivazioni della Corte di Cassazione che ha rigettato il ricorso contro l’ordinanz adi custodia cautelare. La chiusura indagini, scaduti i termini di venti giorni per un eventuale interrogatorio, farà da preludio ad una scontata richiesta di rinvio a giudizio. Hamil era giunto a Luzzi, nel Cosentino, il 17 giugno del 2005. Il 9 luglio del 2015, da Cosenza sarebbe salito su un bus per Roma. Avrebbe quindi preso un volo per Istanbul con bagaglio a mano: nello zaino un pantalone mimetico, il Corano e 800 euro in contanti. Individuato dalle autorità portuali turche è stato però respinto per motivi di «sicurezza pubblica». Lui stesso, qualche ora più tardi, racconterà alla polizia italiana che a Istanbul gli avevano negato l’ingresso contestandogli «l’appartenenza all’Isis». L’inchiesta catanzarese è nata quella notte. Dalla successiva lettura dei contatti telefonici sarebbe emerso un collegamento indiretto con l’utenza belga in uso a un terrorista arrestato il 21 agosto ad Arras (Francia) poiché trovato in possesso di armi, munizioni ed esplosivo.

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