«Io non andavo direttamente, mandavo sempre lui perchè era la faccia pulita dell’azienda». Gennaro Pulice aveva diverse condanne alle spalle, sapeva di dover entrare dalla finestra e non dalla porta per poter mettere le mani su appalti succulenti come la costruzione della Cittadella regionale a Germaneto. Ed il killer del clan Cannizzaro di Lamezia ce l’ha fatta più d’una volta.
Le infiltrazioni delle cosche lametine nei grandi lavori di Germaneto che stanno cambiando il volto di Catanzaro spuntano fuori da un verbale d’interrogatorio di Pulice, pentito da quasi due anni, costellato di omissis ma anche di tante ammissioni scottanti su cui la procura antimafia di Catanzaro e la Squadra mobile stanno indagando.
Il 24 giugno dell’anno scorso il collaboratore, appena un mese dopo essere arrestato, rivela com’era riuscito a mettere le mani sugli appalti pubblici catanzaresi pur avendo precedenti penali: «Era praticamente la nuova Regione Calabria che stanno facendo a Germaneto. Si trattava di tutto il cartongesso e l’intonaco da fare, circa 6-7 milioni di euro di lavori». Il pentito, vivendo fuori dalla Calabria da almeno quattro anni, non sa che la megastruttura di Germaneto è a regime.
Ma aggiunge qualcosa di ancora più inquietante: «Abbiamo lavorato anche dentro l’università a Germaneto, dentro l’ospedale pure. La fornitura del calcestruzzo la faceva la persona per cui io ero stato arrestato».
Gennaro Pulice ha 38 anni, ed a 15 ucciso l’assassino di suo padre Antonio. A mandarlo fu il nonno. «Devi ammazzarlo tu che sei minorenne perchè pure se qualcosa andrà male non ti faranno niente», gli disse. E lui imbracciò un fucile a canne mozze caricato a pallettoni e consumò freddamente la sua vendetta con due colpi di pallettoni sparati in faccia alla vittima predestinata. Si guadagnò la patente di killer del clan Cannizzaro, diviso a metà tra Lamezia e Rosarno, e poi sparò tante altre volte. Spesso eliminando i cadaveri delle sue vittime, facendole sparire in botole di casolari disabitati alla periferia della città.
Ma la sua carriera non finisce qui. In pochi anni riesce a laurearsi due volte in giurisprudenza e in scienze dell’amministrazione, a scappare dalla Calabria dove temeva per la sua vita, ed a fondare diverse imprese. Pulice veniva usato dai Cannizzaro per eseguire gli ordini degli Iannazzo, altra cosca lametina finita in galera l’estate scorsa e ora sotto processo. È riuscito perfino ad acquisire la cittadinanza svizzera pagando un funzionario di origini calabresi, come ha spiegato lo stesso collaboratore di giustizia.
Che sui grandi appalti specifica: «Di fatto poi non ho neanche seguito i lavori (parla del cantiere della Cittadella nel 2011, ndr), ma ho dato solamente i prezzi a Tonino in modo che li desse a Pietro, ho dato tutto quello che era il possibile lavoro anche perchè i prezzi erano molto bassi e quindi poi, di fatto, non so se il lavoro lo hanno fatto o no».
Il pentito dell’ultima ora, arrestato con l’intero clan Iannazzo a maggio dell’anno scorso, racconta come contattò una ditta pulita di Lamezia impegnata nei lavori a Germaneto: «Quei lavori non furono fatti attraverso la Pulice Gruppo. Quelli non volevano contatti con la malavita. Ci sono arrivato attraverso un carrozziere lametino che ha battezzato un figlio del costruttore. E ci siamo presentati a loro con una faccia pulita». Evidenziando ancora: «Me lo chiese Tonino Davoli». Lo stesso Antonio Davoli imputato di associazione mafiosa e braccio destro degli Iannazzo.
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