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Edifici pubblici a rischio sismico

Edifici pubblici a rischio sismico

Il boato proveniente dalle viscere della terra, i soccorsi spesso tardivi e lenti, l’agonia dei moribondi sepolti sotto le macerie, la scomparsa d’intere famiglie, la cancellazione dall’anagrafe di nomi e cognomi che mai più verranno pronunciati perché con i padri sono morti pure i figli. È questo il terremoto: un flagello che in Calabria e Sicilia tutti conoscono bene, ma del quale non sono state serbate memoria istituzionale e adeguata coscienza collettiva. Non si spiegherebbe, altrimenti, come dopo la tragedia del 1908 (150.000 morti), sia stato possibile costruire migliaia d’immobili in spregio alla normativa ed ai criteri antisismici. Ospedali, caserme, scuole primarie e secondarie sono allocati in strutture ad “alta o media vulnerabilità”. La mappa del disastro edilizio calabrese è offerta da uno studio di straordinaria efficacia e indubitabile scientificità, redatto da circa quattrocento tecnici nel duemila, dopo due anni di lavoro, su impulso di Franco Barberi, all’epoca capo della Protezione civile italiana. Paese per paese, città per città, sono stati analizzati e classificati 10.819 edifici pubblici. Con un terremoto d’intensità pari a quelli dell’Aquila o di Amatrice per gli immobili classificati nel rapporto “Barberi” come ad “alta vulnerabilità” i danni potrebbero rivelarsi devastanti. Per capirci: l’ospedale “Pugliese” di Catanzaro; i nosocomi di Paola, Palmi, Crotone e Vibo Valentia; vaste parti degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria; il Polifunzionale e le maisonette dell’Università della Calabria; il Palazzo di giustizia di Locri e tantissimi istituti scolastici da Tropea a Gioia Tauro, da Reggio a Crotone, da San Giovanni in Fiore a Cosenza, passando per decine di piccoli centri delle cinque province, sono stati considerati siti a rischio “alto” o “medio-alto”. Per non parlare degli edifici privati mai sottoposti ad uno studio mirato. Per esempio, tutte le abitazioni costruite prima della normativa antisismica intervenuta in Italia nel 1976 dopo la tragedia che investì il Friuli. Pensate ai tanti centri storici oppure ai palazzi eretti negli anni 60.

Basta poi un dato per capire bene come stanno le cose in Calabria: risultano edificati ben 140.000 immobili mai accatastati di cui si ha conoscenza solo grazie ai rilievi disposti dall’Agenzia delle Entrate. Si tratta, dunque, di case costruite abusivamente e con criteri certo non consoni alla rigida disciplina di settore.

Ma non è finita. Lascia infatti basiti la situazione riguardante i cosiddetti “Piani di emergenza” previsti dai Comuni calabresi – per intenderci il “chi fa cosa” durante una calamità –.

Al Dipartimento regionale della Protezione civile solo 105 dei 155 municipi della provincia di Cosenza hanno trasmesso il loro Piano; sui 97 della provincia di Reggio, solo 61; degli 80 del Catanzarese solo 57; dei 50 del Vibonese solo 26; dei 27 del Crotonese solo 17. Tirando le somme – la matematica non è un’opinione – esclusivamente in 266 dei complessivi 409 comuni della Calabria è stato previsto e stilato un piano di emergenza. Larga parte dei municipi “virtuosi”, però, non ha aggiornato il “Piano” dopo il 31 dicembre 2014. Il quadro, come può ben comprendersi, appare disarmante. E pericoloso.

Carlo Tansi dirige la Protezione civile calabrese: è come starsene seduti sulla bocca d’un vulcano. Lui, tuttavia, non sembra scoraggiato e mostra competenza, coscienza e passione. «Dal febbraio scorso – spiega – stiamo aggiornando il “Rapporto Barberi” per vedere se, ad esempio, alcuni edifici pubblici non sono più attivi, oppure se sono stati adeguati – caso rarissimo – alla normativa antisismica, oppure se le attività scolastiche o ospedaliere sono state trasferite in altri edifici. Il lavoro è immane ma non siamo all’anno zero. Molto edifici che possono crollare in caso di terremoto hanno un nome e un cognome. Non è il sisma ad uccidere ma gli immobili costruiti male». La Natura è pronta a vendicarsi dell’irragionevolezza dell’uomo.

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