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13enne stuprata dal branco, 8 arresti

13enne stuprata dal branco, 8 arresti

Due anni di violenze
sessuali, anche di gruppo, pressioni e minacce a non parlare
sotto il ricatto di alcune foto intime e del «nome» di uno dei
suoi aguzzini, figlio del presunto boss della cosca di
'ndrangheta Iamonte di Melito Porto Salvo. E’ la «vera e propria
discesa agli inferi» - come l’ha definita il gip - vissuta da
una ragazzina i cui tormenti sono iniziati quando aveva appena
13 anni e sono finiti grazie all’intervento dei Carabinieri
della Compagnia di Melito Porto Salvo che hanno arrestato i
componenti del «branco» su disposizione dei gip del Tribunale di
Reggio Calabria e del Tribunale dei minorenni. Otto persone, tra
le quali un minore, sono finiti in carcere od in istituto, ed un
nono è stato sottoposto all’obbligo di presentazione alla
polizia giudiziaria.
L’inferno per la ragazzina è cominciato nell’estate del 2013
quando si è innamorata di una ragazzo più grande. Ma lui,
approfittando della fragile ed acerba personalità della
giovanissima, l’ha costretta ad avere rapporti sessuali anche
con i suoi amici ed anche in gruppo. Una situazione dalla quale
la ragazzina non riusciva ad uscire, anche perché minacciata con
delle foto che l’avrebbero «svergognata» davanti ai suoi ed al
paese ma soprattutto, secondo i magistrati di Reggio Calabria,
dal nome di uno dei suoi carnefici, Giovanni Iamonte, 30 anni,
figlio di Remingo, indicato come un presunto boss dell’omonima
cosca, nipote dell’ex patriarca della 'ndrangheta del basso
Ionio reggino Natale Iamonte. Un nome, Iamonte, che ricorreva
già nella vita della giovane: la madre è dipendente di una ditta
che fa capo a Giovanni, mentre il padre ne sarebbe un lontano
parente.
Il «branco» arrivava a prelevare la piccola all’uscita della
scuola media che frequenta - a «sequestrare» è stato il termine
usato dal procuratore aggiunto Gaetano Paci - per condurla
proprio dall’uomo. Gli abusi sono andati avanti sino a quando la
ragazzina ha conosciuto un altro giovane con il quale ha
allacciato una relazione normale. Iamonte ed il suo gruppo non
hanno tollerato l’affronto e così, secondo la ricostruzione dei
carabinieri, hanno prelevato il ragazzo e dopo averlo condotto
in un luogo isolato lo hanno massacrato di botte.
L’episodio, però, ha segnato la svolta in positivo per la
vita della ragazzina. Dopo il pestaggio, infatti, ai carabinieri
di Melito sono cominciate ad arrivare le prime segnalazioni
anonime. Ed indagando sull'aggressione, gli investigatori hanno
scoperto che il padre della giovane aveva chiesto «conto» a
Giovanni Iamonte della situazione, provocando l’immediata
interruzione delle minacce, ed hanno ricostruito il perché era
maturata. Una vicenda drammatica per due aspetti: il trauma
forse incancellabile provocato alla vittima, ma anche - come ha
rilevato il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de
Raho - «il sintomo di quanto sia ormai insopportabile la
presenza della 'ndrangheta in queste realtà; anidride carbonica
pura per chi ha invece bisogno di respirare ossigeno e libertà».

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