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L'omicidio Pagliuso "avvertimento" agli avvocati

L'omicidio Pagliuso "avvertimento" agli avvocati

Lamezia Terme

«Qui stiamo tutti aspettando il ritorno dalle sue ferie». Ma Francesco Pagliuso è morto. Sua sorella Antonella lo sa. L’avvocato penalista impegnato in processi di mafia in mezza Italia, è stato ucciso tre settimane fa a Lamezia sotto casa in un agguato che ha tutti i connotati di ‘ndrangheta. Ma nel suo studio davanti al Tribunale lametino c’è ancora un’atmosfera di attonita attesa, si parla a bassa voce per non disturbare, la sua è una presenza virtuale ma difficile da cancellare.

Antonella Pagliuso è pure avvocato, sorella maggiore della vittima eliminata a 43 anni con tre colpi di pistola a bruciapelo, mentre scendeva dalla macchina per tornare a casa. Era nel cortile. L’omicidio è avvenuto intorno alle 22.30 ma il cadavere è stato scoperto verso le 3 del 10 agosto. Fra tante stelle cadenti.

La sorella è ancora scossa, si commuove a tratti mentre ne parla sotto il suo caschetto color cenere. Ammette: «Sono cosciente di non essere cosciente».

Mancanza consapevole significa anche capacità reattiva. Ha già ripreso a lavorare?

Una cosa è certa: quello che ha costruito Francesco Pagliuso rimane lì. In questo studio ha seguito cause e formato avvocati a sua immagine e somiglianza. Se prima qualcuno cercava di sviare qualche volta le sue regole, adesso non facciamo neanche quello.

Era rigido sul lavoro?

Severo con noi ma anche con se stesso.

Il suo rapporto con i clienti processati per mafia?

Pretendeva il massimo rispetto dai suoi clienti, da tutti. Un rispetto reciproco. Per lui non c’erano imputati di serie A e B. Non ci saranno nemmeno per noi. Aveva un’idea altissima della giustizia. Nulla si poteva ottenere se non con il rispetto della legalità. Era convinto che è l’unica via per raggiungere obiettivi.

Aveva una pistola e l’impianto di videosorveglianza nel cortile di casa. Temeva per la sua vita?

Non girava armato. Essendo stato anche in finanza era col porto d’armi, ma l’aveva fatto scadere. Possedeva tre pistole custodite in casa. Ma le ha cedute, è tutto certificato. Se avesse voluto rinnovare il porto d’armi l’avrebbe subito ottenuto. Riguardo all’impianto video io a casa mia a Soveria l’ho messo prima di lui. Ma per me come per mio fratello non c’è l’idea di proteggerci da qualcosa o da qualcuno, quanto di tenere alla propria casa.

L’avvocato faceva anche indagini difensive, vero?

Certamente. La nostra attività non può essere solo la scrivania, indagare è il modo di fare l’avvocato difensore oggi. Compiere quanto necessario senza attendere che le carte arrivino sulla scrivania. Siamo avvocati e abbiamo gli strumenti giuridici per acquisire conoscenze, sempre nel rispetto delle regole.

Una sera lo sentii soddisfatto al telefono dopo una sentenza di Cassazione. I giudici avevano eliminato l’aggravante della premeditazione per gli autori di un duplice omicidio. Dall’ergastolo la pena sarà ridotta a 20 anni. Era orgoglioso ma con cautela.

Non perdeva mai di vista la sua attività professionale, separandola dai fatti contestati agli imputati. Non li condivideva con i clienti. Non esercitava la difesa del reato ma la funzione difensiva della democrazia. Diceva sempre così.

Suo fratello insegnava anche diritto penale?

Dalle elementari alla maturità era sempre il primo della classe. All’Università di Pisa si laureò col massimo, la pubblicazione della tesi, e venne premiato. Aveva incarichi nelle università di Pisa, Reggio e Catanzaro. Voleva trasferire agli altri le sue conoscenze.

Quando ha visto suo fratello l’ultima volta cosa vi siete detti?

Quattro giorni prima che morisse. Era venerdì. Giornata di lavoro molto intensa. Pochi minuti, poi si sono incastrati tanti appuntamenti. Comunque ci tenevamo sempre in contatto su Whatsapp dove noi dello studio legale abbiamo un gruppo.

Cosa vi siete messaggiati?

Finito un impegno di lavoro a Reggio gli scrissi: “Pagliù tutto ok. Adesso posso fare la valigia per andare in vacanza?”.

Lo chiamava col cognome?

Sì, da sempre.

Cosa le rispose Pagliuso sulla chat del gruppo?

“Fai pure con comodo”. Aggiungendo tre faccine contente. Poi in privato con un altro messaggino aggiunse: “Ti è consentito”. Perchè nello studio il nostro rapporto non era fratello-sorella. Mai uscita dal lavoro senza aver chiesto il suo assenso. Stesse regole per tutti.

Ai funerali ha detto qualcosa di forte.

Ho parlato al killer, gli ho detto “Dio ti benedica”.

Anche lei ha notato che mancavano le istituzioni?

Mi è indifferente, come sorella della vittima. Da cittadina posso condividere quello che hanno denunciato gli altri. Oggi però conto sulle istituzioni. E spero che la morte di mio fratello sia servita a qualcosa.

Cosa vuole dire oggi a chi ha ucciso?

Chi uccide è così ignobile che non ha certo il coraggio di dire “sono stato io”. Non è di un livello umano, nè animale. Perchè rispetto molto gli animali e li offenderei. Loro sono così piccoli e senz’anima che sono capaci di eliminare le persone che con il loro fare danno fastidio. Ma un appello vorrei farlo anche ai colleghi.

Dica pure.

Comprendo che oggi siete disorientati. L’omicidio di mio fratello è anche una minaccia: non fate più il vostro dovere altrimenti la pagherete cara. Io vi dico: abbiate fiducia e fate la vostra professione senza paura, non pensando che fare il proprio dovere significhi rischiare di morire. Si può anche morire, ma a testa alta. In questo studio faremo così: a testa alta e senza nessun compromesso.

Un ricordo?

Avevo 8 anni e mezzo quando è nato. Era nella culla e andavo sempre a controllarlo mentre dormiva. Guardavo se respirava. Ho continuato a farlo fino a quella notte. Quando ha smesso. Continuerò a farlo attraverso me.

Allegato:

Un professionista

Francesco Pagliuso era molto noto non solo a Lamezia ma in tutta la Calabria per i suoi impegni nei principali processi di ‘ndrangheta. Segretario della Camera penale lametina, difendeva imputati nell’ambito di alcuni procedimenti scaturiti dalle operazioni “Andromeda”, “Perseo” e “Nettuno” a Lamezia, “Black Money” a Vibo Valentia e “Alchemia” a Reggio Calabria. Di recente era riuscito a far annullare in Cassazione, lo scorso giugno, i due ergastoli emessi nei confronti di Domenico e Giovanni Mezzatesta, padre e figlio, accusati di duplice omicidio.

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